AQUILONIA

Scorcio del paese abbandonato

Il recupero della memoria storica





La mia storia


Quando metterai piede tra le mie lande, ti prego, porgi l'orecchio al richiamo della mia storia, che gli abitanti attuali sono riusciti a spolverare dalla coltre di oblio che il tempo inesorabilmente ha steso al suo passaggio. Non è una storia da libri scolastici. E' storia di gente semplice, di povertà, di orgoglio, di usanze, che sono state sapientemente recuperate.  

Il mio attuale nome è relativamente recente. La Storia mi ricorda principalmente con il nome di Carbonara, i cui i primi insediamenti risalgono al V - IV sec. a.C.. I miei primi abitanti erano pastori e agricoltori sanniti, che si insediarono nel mio territorio per via dei luoghi inaccessibili alle incursioni di altri popoli vicini. Costruirono l'oppidum fortificato di Carbonara, su una collina, come in altri centri antichi Sanniti limitrofi (Romulea - attuale Bisaccia - Aletrium - attuale Calitri - Akedunniad - Aquilonia antica, oggi Lacedonia - e Cominium - attuale Monteverde).

La vicina oppidum di Akedunniad era il più importante centro fortificato.

L'originario mio nome era dovuto probabilmente alla presenza nel mio territorio di particolari pietre che contenevano petrolio e che bruciavano con fiamma viva come carboni. Ancora oggi tali minerali si trovano nella contrada detta "Sassano".

Nel 293 a.C., durante la seconda guerra sannitica, combattuta tra i romani e i sanniti, sessantamila degli abitanti della zona - buona parte dei quali appartenenti ad Akedunniad - furono sottomessi nella vallata del Torrente Calaggio, non lontano dalle mie terre.  

Con l'annessione a Roma, le mie terre non rimasero più isolate e furono solcate da diverse importanti strade di collegamento, per consentire un più marcato controllo della regione. Passava per questo remoto angolo dell’Appennino l’antica via Appia e non lontano anche la via Herculia e la via Traiana, un’importante traversa della Via Appia tra Benevento e la Puglia. 

Fu così che da oppidum sannita divenni municipio romano e tale rimasi, sempre con il nome di Carbonara, fino ai primi segni di decadenza dell'Impero, che nel V sec. d.C. portarono all'invasione dei Goti e alla successiva guerra con i Bizantini.

I Goti costruirono una rocca fortificata e divenni, insieme ai diversi casali, un centro militare a presidio della vallata dell’Osento e dell’Ofanto.

Al declinare della potenza dei Goti, i Longobardi - come in quasi tutta la Campania - avviarono la conquista di queste terre. Il duca Zottone di Benevento guidò i Longobardi nell’Alta Valle dell’Ofanto nel 591 d.C. e strappò Conza ai Bizantini, ponendola come sede di un forte gastaldato, che comprendeva tutto il comprensorio appenninico da San Fele a Teora, da Andretta a Carbonara-Aquilonia, e che rappresentava il limite meridionale dell’espansione dei longobardi in Italia. 

Dopo la spartizione del ducato di Benevento tra Radelchi e Siconolfo nel 849 e la successiva nascita del Principato di Salerno, Carbonara, come terra del gastaldato di Conza, fece parte del principato salernitano. 

In quest’epoca mi presentavo come un piccolo castrum.

Il gastaldato di Conza ebbe vita autonoma fino all’arrivo dei Normanni, guidati nel 1076 da Roberto il Guiscardo, che lo occupò con tutti i suoi castelli e le sue fortezze, vincendo l’ultimo signore longobardo di Conza, il conte Guido

Al crollo dello stato normanno subentrò il regno svevo di Federico II. L’imperatore tedesco ebbe molta cura dei boschi di questa zona, rigogliosi fin dall’antichità ed importanti per la produzione del legname. 

In questo periodo divenni nota per la singolare "produzione" di "penne di avvoltoi" che venivano raccolte ed utilizzate per la costruzione dei dardi da balestra chiamati quadrelli.

Quando si accese la lotta tra le signorie degli Svevi e degli Angioini, che subentrarono ai primi nel dominio del Sud Italia, Riccardo di Bisaccia ebbe il mio feudo. 

Le contese di diverse famiglie nobili per la supremazia su queste terre tra il XIV ed il XV sec. causarono il loro spopolamento. Anche la malaria ci mise il suo.

Oggi purtroppo delle vestigia delle antiche rocche fortificate di Carbonara si possono scorgere solo i resti diroccati e per trovarli devi inoltrarti a piedi nell’intrico fitto dei miei boschi.

I boschi, così cari a Federico II di Svevia, che vi trascorreva i suoi momenti di caccia, furono abbattuti e convertiti in campi per la coltura del grano. In poco tempo la superficie destinata alla coltura granaria triplicò. Tuttavia la razionalizzazione e la gestione moderna delle mie terre erano destinate a fallire. Le campagne erano sovraffollate e l’aristocrazia meridionale, benché attraversasse un momento splendido dal punto di vista culturale e intellettuale, non era in grado di condurre una razionalizzazione dei processi produttivi.

A metà del Cinquecento passai sotto la signoria dei Caracciolo

Nel Seicento, dopo una breve signoria dei Carafa, Giovan Vincenzo Imperiale, colto letterato di una antica e nobile famiglia di Genova, acquistò nel 1636 il feudo di S. Angelo dei Lombardi, di cui facevo parte insieme ad Andretta, Nusco, Lioni. Gli Imperiale governarono il feudo di S. Angelo dei Lombardi fino alla fine del feudalesimo. 

I miei abitanti, prevalentemente poveri contadini,  aumentavano di numero e chiedevano sempre più terre da coltivare. Alla fine del Settecento rivendicarono con grande veemenza il diritto di sfruttare in modo ampio le terre demaniali per il pascolo, per la semina, per ottenere il legname da costruzione e da riscaldamento. La scarsità delle risorse disponibili a fronte dell'incremento demografico mi resero nota come "miserabile bicocca" abitata da masse popolari feroci e sanguinarie. 

La rivoluzione napoletana del 1799 fu percepita come un ulteriore tragico attacco ai bisogni dei contadini. Il ceto borghese locale, modesto, privo di una vera forza economica, venne visto come avversario pericoloso e minaccioso per la popolazione. Contro la rivoluzione borghese e cittadina, insorsero le popolazioni delle campagne.  I miei cittadini si rifiutarno di divenire "repubblicani", e nessun "albero della libertà" fu piantato in paese. 

Fu così che nella mia zona prese corpo e vigore il noto fenomeno del brigantaggio, protetto dall’intrico fittissimo dei boschi di Castiglione, Sassano, Pietrapalomba e Monticchio. Ricordo la banda di Vito Errico, denominato "il matto", quella di Pasquale Mauriello detto "Vuozzo", la banda di Calabresi. Erano soldati sbandati, banditi e ladri comuni che si erano uniti col pretesto di favorire la restaurazione dei Borbone sul trono di Napoli e si erano poi dati alla macchia.

​Le riforme di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat rinnovarono la vita civile delle popolazioni meridionali. Con l’abolizione del feudalesimo, divenni Comune di Carbonara, con nuovi organismi amministrativi e nuove risorse economiche. 

Le terre tolte agli antichi signori feudali furono assegnate al demanio comunale. Si accese allora una nuova aspra contesa tra i ceti sociali del paese per il controllo e lo sfruttamento delle terre tolte definitivamente alla nobiltà, che travagliò il paese per oltre un secolo.

​Agli inizi dell’Ottocento anche a Carbonara cominciarono a diffondersi le nuove idee politiche liberali e non mancarono anche qui le prime tensioni risorgimentali. Furono fondate due società segrete che dettero il loro contributo ai moti costituzionali del 1820-21 e alla rivoluzione del 1848. Tuttavia l’unità nazionale non fu una conquista pacifica per i miei abitanti. Al mutamento politico si oppose la forte resistenza popolare, alimentata soprattutto dalle antiche tensioni sociali nate dalla mancata ripartizione dei demani tra i contadini. Il giorno stesso del plebiscito per l’unità delle province meridionali alla monarchia sabauda, il 21 ottobre 1860, scoppiò in paese una cruenta reazione filoborbonica con l'assassinio di nove "galantuomini" e il saccheggio dell'intero paese. 

Per cancellare l’onta della sanguinosa rivolta antiunitaria, nel 1862 mi cambiarono nome e da Carbonara divenni Aquilonia, in omaggio ai fasti dell’antica città sannita che si diceva sorgesse proprio su quelle alture.

​I disboscamenti reclamati fin dai primi anni dell’Ottocento dai contadini procedettero in modo forsennato. Intere montagne persero così per sempre gran parte del loro manto arborato. L’attacco dei contadini alle mie risorse forestali locali fu massiccio. 

I miei abitanti si spartirono il mio territorio in tre momenti molto travagliati, che corrosero profondamente lo spirito pubblico. Il clima di perenne rissosità, di lotta violenta tra famiglie e partiti locali, fece si che il gruppo di volta in volta egemone usasse tutti i mezzi per ritardare, contrastare o comunque volgere a proprio favore, la cosiddetta quotazione demaniale. La spartizione del demanio durò oltre cento anni, dal 1810 al 1934 e portò alla definitiva scomparsa di una percentuale variabile tra il 70 ed oltre l’80 per cento del manto forestale originario del paese. 

​Il problema della povertà generale della popolazione nel frattempo non si risolveva.

Dopo l’Unità il brigantaggio continuò ad affliggere l’Irpinia, come tutte le province del Mezzogiorno. I nomi di nuovi e più famosi briganti, come Carmine Donatelli detto "Crocco", che invase e saccheggiò Aquilonia nell’aprile del 1861, Nicola Summa detto "Ninco Nanco", Sacchetiello, Caruso, sono vivi ancora oggi nella memoria mia e dei miei abitanti.

Protagonisti di cruenti scontri con le truppe dell’esercito piemontese nei boschi che circondano il paese e lungo il fiume Ofanto, i briganti incarnavano l’idea del contadino in rivolta, del ribelle violento, appassionato, povero e disperato, in lotta contro la miseria e l’abiezione a cui lo costringevano il generale sottosviluppo ed i soprusi di una stretta cerchia di possidenti locali.

Al disinganno e alla delusione per il mancato sviluppo, i miei cittadini - come quelli di tanti altri paesi - risposero con l’emigrazione massiccia, tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento. Decine di famiglie contadine lasciarono il paese per le Americhe, alimentando un flusso migratorio che spopolò le campagne e privò il paese di notevoli risorse umane.

L’emigrazione continuò dopo la seconda guerra mondiale, verso il Sud America, la Germania, la Svizzera, l’Australia.

​Dopo il terremoto del Vulture del 23 luglio 1930, il centro abitato è stato completamente ricostruito in un luogo più alto rispetto alla locazione originale e l'originario nucleo urbano è stato definitivamente abbandonato nel dopoguerra.

​Oggi mi puoi conoscere come un paese impegnato nella costruzione di una nuova stagione di qualificazione e di sviluppo urbano, impegnato soprattutto nel recupero della memoria storica e nella valorizzazione delle risorse ambientali ed enogastronomiche del mio territorio.





Vieni a visitarmi


PARCO ARCHEOLOGICO DI CARBONARA E MUSEO DELLE CITTA' ITINERANTI

La memoria storica delle mie terre e dei miei abitanti aquilonesi è a meno di un chilometro di distanza dall'attuale centro abitato.

Carbonara, il cui nome deriva dalla pietra scistica, presente sul mio territorio, che bruciando produce solo calore senza consumarsi, è oggi un Parco archeologico di grandi dimensioni, in cui sono rimasti intatti gli originari tracciati urbanistici risalenti fino al sisma del 1930.

Il visitatore che l'attraversa non può che ammirarne la ricomposizione eseguita con accurata maestrìa.

Oltre alla bellissima pavimentazione di Piazza Municipio, dove sorgevano le due chiese (S. Giovanni e l’Immacolata), il municipio, la pretura, il monte frumentario e le carceri, poco distante si possono ammirare i resti di un altare del Settecento, ritrovato nella chiesa Madre.

La splendida Piazza Municipio, ricomposta con le quinte dei palazzi e delle chiese, è spesso teatro di concerti di musiche e canti tradizionali, di rappresentazioni rituali e teatrali, di scene e bozzetti di vita paesana, di rievocazioni storiche e proiezioni di film.

Al suo interno è stato allestito il Museo delle città itineranti, in un edificio interamente recuperato ed adattato ad esigenze espositive. 

Riporta documenti storici, grafici, foto, filmati d’epoca, video e pannelli esplicativi, che narrano le vicende di quei paesi d’Italia che, come Aquilonia, per effetto di eventi sismici, bellici o di altra natura, hanno nei secoli dovuto cambiare sito e che di recente hanno riscoperto e rivalutato quelli originari, restituendoli a nuova vita.


ex Carbonara, largo Croce 83041 Aquilonia località Aquilonia Vecchia (AV)Telefono: 082783826-3403682085





MUSEO ETNOGRAFICO "BENIAMINO TARTAGLIA"

Il Museo Etnografico di Aquilonia, ideato e progettato dal prof. Beniamino Tartaglia, è oggi una importante realtà nella mia terra, grazie anche al contributo economico dell'Amministrazione Comunale, della Provincia e della Regione. La sua gestione è garantita grazie alla collaborazione costante di un apposito Comitato, della quasi totalità della popolazione residente e degli emigrati.

E' ubicato in una struttura originariamente destinata ad asilo-nido negli anni '70 del secolo scorso e mai utilizzata per i fini per cui era stata costruita. 

I lavori di ristrutturazione e adeguamento ai fini museali sono stati sostenuti anche grazie a donazioni e a prestazioni volontarie di molti miei cittadini, che hanno superato i retaggi di litigiosità che li hanno contraddistinti per tanti anni e, in modo sorprendentemente e straordinariamente corale hanno consentito la realizzazione di questa iniziativa marcatamente culturale. 

Ci sono oltre 1200 musei etnografici in tutta Italia, gran parte dei quali offrono ai visitatori collezioni tipologiche di oggetti e attrezzi. Il mio Museo invece ha la peculiarità e unicità di offrire reali ambienti di lavoro e concreti contesti abitativi, ricostruiti fedelmente e ricomposti con grande rigore filologico.

Con l'ausilio di materiale fotografico d'epoca, di video, di CD ROM e di pubblicazioni specialistiche (Quaderni del Museo), nonché di interventi di "animazione", in esso si svolgono vere e proprie attività didattiche, che coinvolgono attivamente soprattutto gli studenti e li rendono protagonisti della costruzione del proprio sapere, facendo loro scoprire e rivivere moltissimi aspetti di un'antica civiltà. 

Il Museo Etnografico non è il luogo della nostalgia e del tempo perduto, nel quale archiviare le fonti storiche di una civiltà sconfitta, ma è centro di attività e di mediazione culturali in grado di soddisfare la fame di passato, di trasmettere informazioni ed emozioni e di dare nuova forma ad una piú generale esigenza di istruzione. La riproposizione di forme remote di vita, in spazi organizzati con mirati progetti di ricomposizione ambientale, stimola connessioni nuove e genera autentica conoscenza.

Nel Museo Etnografico di Aquilonia, come in un grande libro scritto con il linguaggio muto e suggestivo delle ambientazioni e degli oggetti ivi contenuti, si passa in rassegna l'esistenza secolare non solo della mia comunità, ma anche di tante e diverse comunità del Mezzogiorno.

Nel varcarne l'ingresso, ci si sente come inghiottiti dalla "macchina del tempo" e si inizia a compiere un viaggio carico di emozioni tra le viscere della vicenda quotidiana di una umanità semplice e operosa, per troppo tempo emarginata, sfruttata e infine cancellata.

L'ingresso e la visita al Museo non prevedono pagamento di biglietto, e tutto il personale è volontario. È possibile per i visitatori lasciare un'offerta, grazie alla quale si contribuisce al sostegno del Museo.



Museo Etnografico Beniamino TartagliaVia Carbonara, 383041 Aquilonia (Av)
telefono/fax: 0827.83826mobile: 340.3682085
e-mailaquiloniamusei@gmail.com



LAGO SAN PIETRO - AQUILAVERDE

A nord del mio centro abitato, al confine con Monteverde, puoi approfittare di una sosta nella natura, nel contesto di un lago artificiale ottenuto dalla sbarramento del Fiume Osento, che nasce nella vicina Lacedonia ed è affluente del Fiume Ofanto, che sfocia nel Mar Adriatico. 

Il lago è incastonato nell'Appennino campano a 460 m sul livello del mare.  

Negli anni sessanta la Capitanata di Foggia decise di realizzare questo invaso per consentire la raccolta delle acque del torrente, per poi immetterle nello stesso fiume nei periodi siccitosi, in modo da consentire l'irrigazione estiva nelle terre delle vicine puglie. L' invaso artificiale ha una capacità di massima piena di 17.100.000 mc ed è delimitato dai confini comunali di Monteverde, Aquilonia e Lacedonia, tutti comuni membri della Comunità Montana Alta Irpinia. 

Il lago di San Pietro o di Aquilaverde (cioè di Aquilonia - Monteverde) oggi è un luogo di pace e di rara bellezza per la corona verdissima delle pinete circostanti. Solo il grande sbarramento fa ricordare di essere sulle sponde di un bacino artificiale. Nella parte più vicina alla strada d'accesso la sponda è bassa e degrada dolcemente in acqua; l'altra sponda invece è caratterizzata da grandi pareti rocciose, sovrastate da una abbondante vegetazione. Lungo il versante Nord-Est del lago si sviluppa una vasta area pic-nic attrezzata per accogliere turisti e un parco giochi per bambini

La presenza non solo dello specchio d’acqua ma anche di una folta vegetazione igrofila di tipo secondario e di estese e rigogliose quercete, hanno consentito di creare svariati habitat idonei alla colonizzazione, all’alimentazione ed al rifugio di moltissime specie faunistiche. 

Il birdwatcher  può sfruttare il fatto che l’area sia diventata sosta fondamentale per la nidificazione di diverse specie volatili, come i rapaci Nibbio reale, Nibbio bruno, e lo svernamento di alcune specie migratorie che vivono e si alimentano in ambiente acquatico, come il rapace Grillaio.  L’ornitofauna è presente anche con altre specie di uccelli legati agli ambienti acquatici come il Germano reale ed il Moriglione o ai campi coltivati come la Calandra e l’Averla piccola o agli incolti come la Calandrella.  Non mancano il Merlo, l’Allodola, la Quaglia, la Tortora, la Gallinella d’Acqua, la Tordela, il Colombaccio, la Strana ed il Fagiano.

I mammiferi che popolano il lago sono presenti con diverse comunità, più o meno popolose, ma tra queste va ricordata soprattutto la Lontra comune, specie sensibile alle trasformazioni degli ambienti acquatici, ed i chirotteri Ferro di cavallo maggiore, Ferro di cavallo minore, il Miniottero, il Vespertilio maggiore ed il Vespertilio minore.

Per l'appassionato di pesca sportiva la fauna ittica è di particolare pregio e tra le varie specie vi sono la Rovella ed il Cobite, specie Endemiche italiane, l’Arborella meridionale, specie Endemica dell’Italia meridionale. 

L’erpetofauna è rappresentata dagli anfibi Tritone crestato italiano, Ululone dal ventre giallo, Tritone italiano e Raganella italiana

Tra i serpenti si possono trovare il Cervone (non velenoso), il Biacco (non velenoso) e la Natrice tassellata (non velenoso). 

Infine l’entomofauna è rappresentata da una notevole varietà di insetti, tra Lepidotteri, Odonati, Coleotteri, tra i quali la Lindenia tetraphylla, una libellula presente in Italia in poche località del versante tirrenico e strettamente legata ai bacini lacustri.





I miei eventi


Il 15 e 16 giugno i miei cittadini sono dediti ai festeggiamenti di san Vito martire.

Il 15 giugno, giorno di San Vito, a partire dalle ore 9.00, si svolge in particolare una processione solenne dal paese alla badia di San Vito, con corone di fiori e frutta e costruzioni di legno (gigli) ornate da immagini del Santo, candele e fettucce di stoffa multicolori portate sulla testa da donne particolarmente devote. Una volta giunto alla badia, il corteo compie tre giri tutt'intorno portando a benedire animali, pane, avena e granturco.

Nelle vicinanze della badia si trova una quercia dalle dimensioni eccezionali, la cui età è stimata tra i 400 e 500 anni. E' anche nota come quercia di San Vito  ed è uno dei cento alberi più vecchi della regione Campania. Secondo una leggenda, quando in passato qualcuno tentava di tagliarla per ricavarne legna, al primo colpo d'ascia, questa restava incastrata nel tronco e i rami iniziavano a trasudare lacrime di sangue.

L'Abazia, invece, è più antica dell'albero, risalendo la sua costruzione intorno al XIII secolo, come si evince dalle originarie linee architettoniche rimaste immutate.  Ha pianta rettangolare ed è composta da una navata centrale scandita da quattro campate e da una seminavata laterale a due campate.

Terminata la processione, i fedeli entrano in chiesa, dove, in fondo alla navata centrale troneggia l'altare del Santo. In alto, sulla nicchia, è collocato lo stemma di Aquilonia, costituito da un braciere ardente con due soldati sanniti che prestano giuramento, sormontato dalla scritta in latino "Aut vincere, aut mori".

La statua di San Vito, appartenente alla seconda metà del XIII secolo, è di legno antico. Ai piedi del Santo due cani sono tenuti al guinzaglio.

Nella seminavata laterale altri due altari in legno di fattura artistica sono dedicati alla Vergine del Rosario di Pompei e a San Francesco de Paola. 

Il 16 giugno, infine, si svolge una processione per le strade del paese, preceduta da un'asta pubblica per l'assegnazione del trasporto della statua del Santo. 





I miei prodotti


CURRESC R CUCOZZA 

Quando un piatto di pasta era un lusso per le famiglie del mio paese, nel periodo estivo da giugno a settembre, di maturazione della zucca bianca, meglio nota come zucca bianca di Aquilonia, i miei abitanti usavano lavorare questo vegetale sbucciandolo e svuotandolo dai semi interni. I semi raccolti venivano essiccati al sole per diversi giorni e poi conservati per essere utilizzati l'anno successivo per le nuove piantagioni. Si procedeva quindi alla affettatura, che avveniva rigorosamente a mano con l'ausilio del solo coltello. 

Allora come oggi nulla è immutato: la zucca viene tagliata in strisce di lunghezza variabile intorno ai 50 cm, di larghezza determinata dalle dimensioni dell'ortaggio e in genere non molto distante dai 2 cm, con spessore di circa 5 mm. Il colore delle strisce è bianco opaco, con leggere sfumature giallo verdastre lungo le estremità laterali. Queste vengono fatte disidratare al sole per lunghe ore fino a che non si stirano e si asciugano. Sembrano normali tagliatelle di grano, ma sono il prodotto più unico che raro che resiste all'omologazione gastronomica dei giorni nostri e conserva intatto il gusto della tradizione contadina degli Aquilonesi. Sono le cosiddette fettuccine di zucca, note anche  nel dialetto locale con il nome di Curresc r Cucozza janca di Aquilonia.

Quello che una volta era il piatto dei poveri, oggi è una pietanza unanimamente riconosciuta per qualità, per proprietà diuretiche, antitumorali e contro il colesterolo. 

Una volta essiccate, le fettuccine di zucca vengono conservate in contenitori di vetro o in buste trasparenti, con la sola accortezza di evitare l'esposizione a fonti di calore e luce diretta. Alcune persone anziane usano aggiungere del sale grosso nel contenitore per una migliore conservazione. Si tratta comunque di una preparazione casalinga, destinata all'autoconsumo familiare. Le Curresc r Cucozza sono utilizzate in cucina soprattutto d'inverno, seguendo le ricette più svariate. Tra le più famose vi è quella con il baccalà: Currésc r cucozza e baccalà à la ualanégna, ovvero Strisce di zucca e baccalà "alla boara", cioè lessato e condito con aglio, olio e peperoncino. Rinomate sono anche le Curresce con i tridd, tipico formato di pasta casereccio che ben si sposa con la zucca. Il detto dei miei paesani dice: "Non sei di Aquilonia se non mangi tridd r curresc r cucozza". 





La mia ospitalità






Link utili