AVELLA
Custodia gelosa di antiche vestigia riscoperte
La mia storia
Un popolo di origine greca, i Cumani Calcidesi, probabilmente, giunto in zona dopo aver attraversato le gole di Monteforte, rimase particolarmente impressionato dall'amenità del posto e dalle ondulazioni della mia campagna e vi si stanziò edificando, a partire dal 700 a.C. una popolosa e belligera città, che accolse etruschi e osci.
Tuttavia nel V secolo a.C. le popolazioni sannitiche posero fine all'egemonia etrusca.
In seguito alle guerre sannitiche, insieme alle città di Nola e di Nucera, entrai nell'alleanza romana e fino al I secolo a.C. influenzai con loro la politica sul territorio.
Trovandomi sulla strada che univa allora come oggi la pianura campana con il Sannio Irpino, ho sempre mantenuto una grande importanza commerciale fino al 455 d.C., allorquando subii il saccheggio di Alarico e successivamente di Genserico nel 455 d.C., cadendo sotto il dominio dei Goti. Da città romana divenni, quindi, centro abitato longobardo, sotto Singinolfo, nel ducato di Benevento.
Da allora iniziò un lento processo di decadimento che mi ridusse a oscuro villaggio, poco abitato, dal momento che gran parte dei miei abitanti preferì rifugiarsi sui monti, intorno alla grotta di San Michele, e sulla collina del Castello, mentre altri nuclei si dispersero nella pianura.
Nel 884 subii il saccheggio e la sottomissione dei Saraceni e nel X secolo fui quasi completamente distrutta dagli Ungari.
Fui trasformata in feudo da Arnaldo il normanno nel 1075, e così potei rivedere la ripresa della vita civile, che si affermò con la cacciata dei longobardi. La gente fece ritorno nelle mie terre, ma non costruirono una città compatta, bensì si sparsero dando luogo a diversi nuclei e quartieri, ancora oggi costituenti l'ossatura del mia urbanizzazione: San Pietro, Madonna delle Grazie (Cortalupino), San Giovanni/Santa Candida, San Romano/Cortabucci.
Nel 1860 fui aggregata alla provincia di Avellino.
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ANFITEATRO ROMANO
Il mio nucleo abitato, in epoca romana, aveva una forma piuttosto arrotondata. Era racchiuso da mura e dotato di ben sei porte. Al suo interno era diviso in quattro settori dall'incrocio di due strade ortogonali. I quartieri, così individuati, furono a loro volta suddivisi secondo la tipica scacchiera ippodamea, articolata in cardini, in direzione nord-sud, e decumani, in direzione est-ovest.
Di quello straordinario sviluppo urbano ed edilizio conservo i resti dell'anfiteatro, ubicato a circa 300 m dall'odierno abitato. L’edificio, che ancora oggi spicca in tutta la sua maestosità, fungeva da sede per i giochi gladiatori, per la caccia alle fiere, e alcune volte per le naumachie (spettacolo consistente in combattimenti navali nell'arena).
Grazie ad una base onoraria risalente al 170 d.C. dedicata a Lucio Egnazio Invento, cavaliere romano nell'epoca degli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero, oggi possiamo conoscere com'era strutturato originariamente l'anfiteatro, con una cavea di tre ordini: la ima cavea, la media cavea e la summa cavea.
Fu edificato nel I sec. a.C. sui resti di abitazioni sannitiche e le sue dimensioni non lo rendono inferiore all'anfiteatro di Pompei. Ha la tipica pianta a ellissi, con un'arena in sabbia circondata da gradinate (gradationes) divise in settori.
In corrispondenza del lato sud-orientale, l’anfiteatro si appoggia in parte alle mura della città di II sec. a.C., di cui è ancora visibile la cortina interna in opus incertum, e in parte a un pendio naturale. Solo la parte meridionale poggia su grosse costruzioni a volta.
All'arena si accedeva tramite due porte principali, la porta triumphalis , orientata verso la città, e la porta libitensis, dalla parte opposta. Sul lato Ovest vi è una terza porta più minuta.
Nel IV secolo d.C. si iniziò a costruire una stalla per le bestie, rimasta incompiuta probabilmente a causa della bassa affluenza agli spettacoli causata dalla crisi che investì l’impero durante le invasioni barbariche.
Oggi restano le strutture in opus reticolatum della ima cavea, della media cavea, divisa in moeniana, praecintiones e baltei, oltre a qualcosa della summa cavea, prevalentemente sui lati Sud e Est. Qualche sedile in tufo è ancora individuabile. Sono inoltre ben conservati i due vomitorii principali nell'asse maggiore dell'ellisse (itinera magna) con ambienti laterali, e il podio che divideva la curva dall'arena.
SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGIA, BELLE ARTI E PAESAGGIO PER LE PROVINCE DI SALERNO E AVELLINOProprietà: MiBACTIngresso: gratuito + servizio navetta (se disponibile) e guida 5 € ; Riduzione prevista per possessori artecard; servizio navetta gratuito per disabiliGiorni e orario apertura: sabato e domenica dalle 10.00 alle 12.30; negli altri giorni visitabile su richiesta prenotando ai nn. 081/8259320; 320/9479173; 380/4309703; Prenotazione: Obbligatoria Telefono: 081/8259320; 320/9479173; 380/4309703 ; Email: infosiatavella@gmail.com; Sito web: http://www.avellarte.it)
MAUSOLEI ROMANI
Lungo le strade che collegavano l’antica Abella con le località limitrofe, si allineano diversi imponenti monumenti funerari romani dell’aristocrazia locale. Di questi quattro sono osservabili in località Casale, lungo la strada che portava a Nola, datati tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale. Sono in buono stato di conservazione. Sono mausolei a pianta quadrata, poggianti su mattoni di laterizio, ed elevati con blocchetti quadrati di pietra calcarea, poligonali, uniti da una malta durissima, e con una parte superiore cilindrica, terminante a cuspide o a edicola. Sono simili ad altri esempi di età imperiale della Campania.
Il piano inferiore presenta, sul lato opposto alla via l’ingresso, molto basso, la cella sepolcrale, rettangolare, di solito con volta a botte, di modeste dimensioni, in quanto doveva accogliere solo urne funerarie con i resti cremati del defunto.
A causa della noncuranza per le opere d'arte sia del passato che del presente e delle frequenti espoliazioni, le iscrizioni e i corredi funebri sono andati persi e i proprietari di questi mausolei sono pertanto rimasti ignoti.
AVELLARTEServizio informativo e accoglienza turistica: aperti dal martedì al venerdì dalle ore 9.30 alle ore 12.30 - 0818259320 - 3209479173 - 3804309703
CASTELLO DI SAN MICHELE
Sotto il dominio longobardo, mentre mi spegnevo come centro abitato, sorgeva su una collina a destra del fiume Clanis, nel VII secolo d.C., il castello di San Michele, dedicato all’Arcangelo, cui i longobardi erano molto devoti. La fortezza godeva di una posizione strategica per il controllo del territorio circostante: dominava l’accesso che metteva in comunicazione Monteforte Irpino con la Valle del Sabato e conduceva verso la Puglia e la costa adriatica.
La rocca era sovrastata da un’imponente torre cilindrica su base troncoconica saldata alle imponenti strutture del donjon (Dongione, particolare tipo di torre difensiva). Una prima cinta muraria, di epoca longobarda, aveva una pianta ellittica; di essa si conservano dieci semitorri, di forma troncoconica e tronco-piramidale. Recenti scavi hanno portato alla luce alcuni blocchi tufacei, probabilmente residui di una struttura templare di epoca romana dedicata ad Ercole. Una seconda cinta muraria fu realizzata successivamente dai normanni; era a pianta poligonale e aveva una porta carraia nell'angolo sud-orientale e nove torri, tutte quadrangolari eccetto quella dell’angolo sud-occidentale della fortificazione, a pianta pentagonale. Nell'area compresa tra le due cinte murarie puoi ancora trovare i resti di numerose strutture abitative.
L'unico edificio conservato in elevato è una grande cisterna a pianta rettangolare, situata immediatamente all'interno della cinta muraria, che ancora oggi assolve al compito di raccogliere le acque piovane.
La Torre-Mastio di epoca angioina, collocata vicino alla cortina settentrionale, è un cilindro massiccio a pianta circolare alto quasi 20 metri, impostato su una base troncoconica compatta, con la superficie aperta da scarse finestre e feritoie, parzialmente crollate. La Torre è costituita da tre locali sovrapposti e ad essa vi si accedeva dal Palazzo feudale, attraverso un ingresso a livello del primo piano. La sala del piano terreno, adibita a magazzino e priva di luce, ha forma circolare ed è coperta da una cupola emisferica in cui è praticata un’apertura rettangolare. Questa botola è l’unico mezzo di comunicazione tra il piano terreno ed il primo piano, dove una seconda botola permetteva di passare con una scala lignea retrattile ai piani superiori. Sono crollati, invece, i solai del secondo e terzo piano. La sommità è comunque priva del coronamento con merlatura guelfa, visibile ancora negli ultimi anni del secolo scorso.
Tra le rovine del mio castello fu rinvenuto, nel 1685, il famoso “Cippus Abellanus”, risalente al 150 a. C. circa ed attualmente custodito presso il Seminario Vescovile di Nola. Si tratta di un’iscrizione in Lingua Osca recante la convenzione tra Abella e Nola concernente i terreni in mezzo ai quali sorgeva un comune Tempio di Eracle.
PALAZZO BARONALE ALVAREZ DE TOLEDO
Nel mio centro abitato puoi trovare anche un raro esempio di bellezza architettonica della prima metà del XVI secolo: il Palazzo Baronale Alvarez De Toledo. Ha pianta longitudinale e presenta ai lati due torrette. Nel giardino vanvitelliano, detto Livia Colonna, è presente una fontana marmorea rappresentante il Dio Nilo. Vi sono anche due peschiere a forma di rettangolo lobato, in mezzo alle quali era presente un gigantesco platano secolare. Siepi di bosso delimitano i quattro viali ortogonali e le gradevoli aiuole. Il palazzo appartenne agli Spinelli, ai Cattaneo, agli Orsini e ai Colonna. Conservato egregiamente fino alla morte del suo ultimo proprietario, conte Alvaro Alvarez De Toledo, fu danneggiato dal sisma del 1980 e dall'incuria.
E' stato oggetto di due restaurazioni da parte del Comune di Avella: alla fine degli anni 90 e tra il 2015 e il 2017. Oggi è di proprietà del Comune di Avella ed è sede del Comune.
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CHIESA DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA
Nel mio centro abitato il pellegrino può imbattersi nella Chiesa-Convento della Santissima Annunziata, costruito per interessamento del frate avellano, P. Girolamo Guerriero, che la intitolò alla vergine degli Angeli. Un porticato rinascimentale con tre archi retti da colonne monolitiche fa da scenografia alla vera e propria entrata.
La costruzione della chiesa iniziò il 1580 e terminò nel 1589, come appare dall’iscrizione posta sulla facciata d’ingresso; l'edificio del convento, invece, fu utilizzato, anche se non ancora ultimato, a partire dal 1598.
Il chiostro è uno dei più belli che si possono ammirare nelle terre intorno: è a pianta quadrata e composto da ventiquattro archi sorretti da snelle colonne monolitiche, che qualcuno pensa possano provenire dal vicino anfiteatro, come le due colonne centrali del portico della chiesa. Sulle basi delle colonne sono scolpite losanghe e rosoni.
Il chiostro fu istoriato tutt’intorno, tra il 1616 e il 1641, dall’avellano Ardelio Buongiovanni con scene raffiguranti le tappe fondamentali del poverello d’Assisi. Al centro vi si trova una cisterna, realizzata nel 1653.
La chiesa, a una sola navata, è al contempo semplice e solenne. Sulla facciata puoi notare lo stemma caratterizzato da un cinghiale con tre monti. Si entra attraverso un pronao composto da tre arcate a tutto sesto in pietra, poggianti su colonne di granito. Il pronao, di pianta rettangolare, è coperto da tre volte a crociera; le lunette perimetrali furono affrescate nel 1765 e rappresentano l’Agiografia di San Francesco. All0interno non può sfuggire all'attento visitatore il coro ligneo del 1625 di Gianfrancesco Del Tito, oltre ai dipinti cinquecenteschi rappresentanti Sant’Antonio, San Francesco ricevente il perdono d’Assisi e la Deposizione.
Nel 1724 la Chiesa e il convento mutarono il loro titolo in quello di Santissima Annunziata e, grazie al pennello del maestro Castellano e ad alcuni discepoli della scuola salernitana, il soffitto della chiesa fu decorato con quadri ornati di cornici dorate. Vi sono in tutto nove altari adorni anch’essi di bei dipinti. A sinistra si trova un crocifisso in legno, che la tradizione vuole proveniente dal maestro Giuseppe Castello di Avella, insieme ai capolavori realizzati dietro l’altare maggiore: la Visitazione, l’Annunciazione e la visita dell’Angelo a Giuseppe.
Il convento fu costruito tutto a volta: chiostro, refettorio, corridoi e celle. Vi si ritiravano per un anno i religiosi, dopo il Noviziato e la prima professione, come in un secondo noviziato, per attendere alla preghiera e alla meditazione, prima di avviarsi al corso filosofico. Al suo interno vi sono importanti testimonianze figurative: l’Immago Trinitatis con le martiri Santa Caterina d’Alessandria, Santa Lucia e Sant’Agata, dipinto del ‘500 di Grazia o Grazzi Leonardo, detto Leonardo da Pistoia; la Madonna del Carmine e la Vergine Incoronata con il Bambino ed i Santi Francesco e Giovanni Battista, tavola cinquecentesca attribuita a Sivestro Buono.
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CHIESA DI SAN PIETRO
Tra gli edifici di culto più antichi, particolare suggestione la offre la Chiesa di San Pietro, risalente all’XI-XII sec. d.C., eretta sulle rovine di un edificio romano.
E' in stile romanico con influenze arabo-normanne.
L’attuale impianto della chiesa risale al XVII secolo. Sull’ingresso puoi notare un bassorilievo marmoreo di età imperiale proveniente dal monumento sepolcrale di Lucio Sitrio Modesto.
E' un edificio a tre navate. L'altare marmoreo è incorporato fra due colonne di porfido. Vi è anche un sarcofago cristiano del IV-V secolo d.C. con iscrizione latina in cui si ricordano una Prenestina ed il marito Vero.
Di notevole importanza le due tele seicentesche, di scuola napoletana, raffiguranti la Madonna delle anime purganti e la Madonna del Rosario con i Santi domenicani. Alzando lo sguardo al soffitto puoi ammirare i dipinti di Nicola Maria Ermanno Gaglione, mio cittadino illustre deceduto nel 2002, raffiguranti la Crocefissione di San Pietro e la Guarigione dello storpio (1964).
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I miei eventi
I miei prodotti
NOCCIOLA
Il mio territorio è profondamente legato alla Nocciola. “Corylus Avellana” è, infatti, il nome scientifico del Nocciolo comune.
Solo nella seconda metà del 900 qualche imprenditore agricolo locale investì nella coltivazione intensiva di questo frutto, caratterizzando il territorio rurale con una tendenziale monocoltura.
La provincia di Avellino, in cui ricade Avella, è la seconda provincia d’Italia per produzione di nocciole. Insieme ad Avella, sono ottimi produttori tutti i paesi nell’area della Bassa Irpinia: gli altri Comuni della Valle del Clanio, Baiano, Sperone, Sirignano, Mugnano del Cardinale e Quadrelle, poi Monteforte Irpino, Mercogliano, Ospedaletto d’Alpinolo, Summonte, Forino, Altavilla Irpina e lo stesso capoluogo di provincia Avellino.
La cultivar prevalente, selezionata per le sue ottime caratteristiche organolettiche, è la Mortarella, dal latino “mortarium”, la ciotola usata per schiacciare e macinare sostanze con l’ausilio di un pestello. Questa cultivar è particolarmente adatta alla trasformazione per paste e creme spalmabili, molto utilizzata dall'Industria dolciaria.
Altre cultivar presenti sono: la Camponica, la S.Giovanni, la Riccia di Talanico, ecc.
La “Nocciola di Avella” è oggi un’eccellenza ampiamente riconosciuta nel mondo dell’Industria dolciaria, della Pasticceria e degli operatori del mercato in genere. Il Comune di Avella, insieme agli operatori della filiera, ha avviato un percorso di valorizzazione, per far si che il nome di questo prestigioso prodotto sia sempre più riconosciuto ed apprezzato attraverso l’istituzione della De.C.O. (Denominazione comunale di origine). La De.C.O. “Nocciola di Avella”, come prevede il regolamento approvato con deliberazione del Consiglio comunale del 29 dicembre 2017, è il prodotto agricolo fresco coltivato nella zona delimitata dai Comuni di Avella, Baiano, Sperone, Mugnano del Cardinale, Sirignano, Quadrelle e Monteforte Irpino, appartenenti alla specie botanica Corylus Avellana (così come battezzata da Linneo nel 1753) e proveniente da quei corileti dove sono presenti prevalentemente cultivar come la Mortarella e la San Giovanni ed in minima parte la Camponica, Riccia di Talanico, Tonda Bianca, Tonda Rossa, Onn’Aniello, Peluselle, Cap’ ‘e morte e Pall’escuppetta.