AVELLINO

Vista panoramica del centro storico di Avellino

Il capoluogo della terra degli Hirpini


La mia storia


C'era una volta Abellinum! Proprio così: "una volta" e ora non più.

Inizia così la mia storia, con i fasti dell'antica Abellinum, i cui resti sono visitabili nel vicino comune di Atripalda. Lì vivevano gli Abellinati, popolo di Hirpini. Erano i progenitori che abitavano le terre irpine a partire dal XII secolo a.C.. Di origine indoeuropea, penetrarono nella penisola italica attraversando le Alpi, prevalentemente seguendo l'Appennino e si stabilirono nel Centro-Sud, mescolandosi e sovrapponendosi alle popolazioni preesistenti. In particolare le terre irpine li attirarono perché le loro valli, scavate nel corso del tempo dai tanti fiumi e torrenti, permettono il collegamento tra il Tirreno e l'Adriatico, tramite buoni passi e con la protezione delle montagne, e perché la loro fertilità è particolarmente generosa, avendo ricevuto nel tempo periodiche ricariche delle ceneri del Vesuvio. 

Gli Hirpini erano noti per la loro bellicosità e devozione alla libera morte. Pomposi nelle armi (consistenti in alabarde, picche, strali, spuntoni e scudi fregiati in oro e argento), erano frugali nelle case. Combatterono i Romani durante le Guerre Sannitiche e dopo tanti anni di lotta, alla fine della Seconda Guerra Sannitica (290 a.C.), furono costretti a scendere a patti con gli invasori. Approfittando della vittoria di Annibale avvenuta a Canne (216 a.C.), gli Hirpini insorsero nuovamente, ma vennero ancora sopraffatti sette anni dopo. Altra, ed ultima, insurrezione, si ebbe durante la Guerra sociale, quando gli Abellinati sostennero Mario, perdente, contro Silla, vincente. Per questo, le milizie di Silla distrussero Abellinum e crearono nell'82 a.C. la colonia Veneria Abellinatium, sulla riva sinistra del fiume Sabato, che andò in premio ai veterani. Il nuovo nome dell'antica città derivava dal Santuario dedicato a Venere che vi fu realizzato. 

Con la diffusione del Cristianesimo nelle terre irpine, iniziarono le persecuzioni e molti martiri della comunità cristiana di Abellinum sono ricordati dalla Chiesa: il sacerdote Sant'Ippolisto (1 maggio 303) ed altri suoi contemporanei, il Senatore Quinziano (convertito al Cristianesimo da Sant'Ippolisto) ed i suoi figli adolescenti Ireneo e Crescenzio, i Patrizi San Giustino e San Proculo, le nobili vedove Massimilla e Lucrezia (figlie del Decurione Massimiano, colpevoli di aver dato degna sepoltura a Sant'Ippolisto), il "Curator civitatis" Sant'Anastasio, i cittadini San Firmo, San Fabio, Sant'Eustachio, San Secondino, Sant'Eusebio, San Firmiano, Sant'Egnazio (o Ignazio), San Procuro (martirizzato assai crudelmente), San Eulogio, San Querulo e un altro San Fabio, San Modestino e i suoi compagni San Fiorentino e San Flaviano.

Abellinum, sopravvisse alla Caduta dell’Impero Romano d'Occidente (476), conservando le sue antiche tradizioni sotto la dominazione ostrogota prima (fino al 536) e bizantina dopo (fino al 571). Con l'invasione dei Longobardi nel 571 la città antica rimase priva di abitanti, in parte uccisi, in parte scappati nel circondario.

Da allora, ogni riferimento documentale storico ad Avellino fa riferimento al nucleo abitato della "Selectianum", divenuta poi "La Terra", nell'attuale centro storico di Avellino.

I feroci Longobardi, giunti nelle mie terre tra il 570 ed il 571, colpiti dall'aiuto ricevuto dalla popolazione cristiana durante gli attacchi bizantini, si convertirono a questa religione e cominciarono a edificare luoghi di culto, molti dei quali dedicati all'Arcangelo Michele, che somigliava molto ad uno dei loro Dei guerrieri. Nell'849 il Ducato longobardo fu suddiviso in due Principati, in seguito denominati Principato Citra Serras Montorii (Principato di Salerno) e Principato Ultra Serras Montorii (Principato di Benevento, in cui ricadeva il nuovo centro abitato di Abellinum/Avellino, che nel frattempo aveva ormai acquisito la tipica conformazione ad avvolgimento, con una serie concentrica di abitazioni attorno all'originaria Chiesa di Santa Maria, costituente il nucleo originario della città.

Nel periodo longobardo il mio centro abitato L'Avellino divenne un oppidum fortificato con mura e torri. Le mura racchiudevano la collina de "La Terra" e circoscrivevano la civitas Abellini; il resto costituiva il suburbio.

Nel XII secolo, l'assenza delle furibonde guerre dei secoli precedenti e la ristrutturazione amministrativa operata dai Normanni, favorirono l'inizio di un periodo di rinascita dei traffici e di crescita demografica, di messa a colture di terre, di riedificazione militare (castelli), civile (palazzi) ed abitativa (nuove tecniche edilizie). In tale contesto storico fu edificata, con ampio impiego di materiale romano riutilizzato, la mia Cattedrale, il cui disegno fu influenzato dalle basiliche paleocristiane laziali e campane. Stando alla Tradizione, il 10 giugno 1166, nel pagus Urbinianum (oggi Rione Valle), mentre si stava recuperando una colonna per la costruzione dell'Episcopium (Cattedrale) di Sancta Maria, alla presenza del Vescovo Guglielmo, si rinvennero i resti di San Modestino, poi traslati nella Cattedrale.

Nel 1194, l'Imperatore Enrico VI di Svevia, per reclamare i suoi diritti di successione sul Regno normanno, scese in Italia con l'Imperatrice Costanza, conquistando Napoli e dichiarando Avellino Città della Corona, concedendola in feudo, con tutta la Contea, a Gualtieri di Parigi. Seguirono le famiglie feudatarie dell'Aquila, dei Montfort, e sotto gli Angioni, dei Del Balzo, che tennero il feudo fino al 1381.  Venne poi la volta dei Filangieri e infine dei Caracciolo. 

Nel 1436, il Re Alfonso I d'Aragona, mosse le sue truppe da Nola verso Avellino, ma il Conte Trojano Caracciolo, fedele a Renato d'Angiò, si oppose alle truppe aragonesi, precludendone il passaggio. Tuttavia, quattro anni dopo, gli aragonesi riuscirono ad avere la meglio sulla resistenza dei miei cittadini e venni saccheggiata: il Castello, le chiese, i conventi e case vennero dati alle fiamme e centinaia di avellinesi vennero massacrati.  Gli Aragonesi fecero abbattere persino le costruzioni site a Bellizzi, luogo di vacanze dei Signori di Avellino. Trojano Caracciolo, a questo punto, fu costretto ad invocare clemenza e, passando dalla parte del Re aragonese, riebbe la mia città con l'impegno di sostenere e Alfonso I contro Renato d'Angiò.

I superstiti abbandonarono i sobborghi e si concentrarono sulla Collina "La Terra", all'interno della cortina muraria difensiva. Diversi Monasteri e Chiese rimasero senza mezzi di sostentamento e furono soppressi. Il culto cristiano fu indirizzato quasi esclusivamente nella Cattedrale. 

Dopo tante devastazioni e sofferenze, nei secoli XVI e XVII, con l'annessione del Regno di Napoli al Regno di Spagna, la mia popolazione poté godere di un lungo periodo di pace, che ne favorì la ripresa. Tutto iniziò con la Contessa Maria de Cardona, che ricevette in eredità la Contea di Avellino nel 1513, unitamente al Marchesato di Padula. Di una bellezza senza uguali, ricchissima, assai colta, buona d'animo, amante della musica, Maria de Cardona favorì il rinnovamento della città, la sua rinascita industriale e commerciale, il suo risveglio culturale, trasformando il Castello in una magnifica residenza gentilizia, dove dimorò a lungo, incontrando letterati e musicisti, che ospitò frequentemente. Fondò anche l'Accademia dei Dogliosi, un'unione di dotti. La Contessa fece costruire e ricostruire chiese, conventi, oratori, un ospedale. Grazie a lei i miei cittadini, che nel 1532 erano poco più di mille, nel 1561 diventarono 1600.

Nel 1581, Marino Caracciolo, un prode Cavaliere della Battaglia di Lepanto, comprò dalla Corona il feudo di Avellino col Casale di Bellizzi, a condizione che ad Avellino non dovessero risiedere ufficiali regi. Per questo motivo l'udienza provinciale venne trasferita a Montefusco e la città, che nel 1595 annoverava 2850 abitanti, perdette il rango, tenuto fin dal 1284, di capoluogo della provincia di "Principato Ultra".

Iniziò, così, il lungo periodo feudale della famiglia Caracciolo-Rossi, che durò fino all'abolizione dei diritti feudali (1806), durante il quale, subii una importante metamorfosi urbanistica. Camillo Caracciolo, verso il 1615, fece trasformare il Castello in palazzo, convertendo il terreno attiguo in giardino. Dal 1617 al 1630 il baricentro della mia città si spostò dal Castello, che fu abbandonato, alla residenza signorile di Palazzo Caracciolo. Il Castello, insieme al Palazzo, erano frequentati da artisti e letterati, e l'Accademia dei Dogliosi fu alimentata da nuova linfa. Il mio disegno urbano migliorò molto dal punto di vista estetico. Grande meriti li ebbe l'Architetto bergamasco Cosimo Fanzago, a cui si deve la facciata del Palazzo della Dogana e l'Obelisco a Carlo II d'Asburgo.

Ritratto del Principe Marino Caracciolo
Ritratto di Camillo Caracciolo
Autoritratto di Cosimo Fanzago

Nel 1656, nonostante l'adozione di provvedimenti cautelari, come quello di impedire l'ingresso ad Avellino dei forestieri e quello di tenere la Dogana fuori dell'abitato, la pestilenza entrò nella mia città in maniera violenta, contagiando quaranta cittadini al giorno, in prevalenza donne. Vennero adibiti diversi Lazzaretti, che si riempirono immediatamente, insieme ai Cimiteri. Ben presto cominciarono a scarseggiare medici e becchini e i morti rimasero insepolti. Mi ritrovai ben presto in condizioni miserevoli. La popolazione risiedente si ridusse a meno della metà: circa duemilacinquecento abitanti, oppressi peraltro da continue gabelle. Tale evento, oltre che ad affossarmi economicamente e demograficamente, segnò il tramonto del Castello, che rimase in stato di abbandono.

I successivi terremoti del 1688, del 1732 e del 1805 non mi aiutarono di certo a riprendere gli antichi fasti.

L'8 agosto 1806 fu abolito il feudalesimo e divenni Capoluogo della Provincia di "Principato Ultra", al posto della decaduta Montefusco, per la mia più felice posizione geografica, che meglio si prestava a servire i Comuni del Principato. Dopo il 1810, per volere di Giacomo Mazzas, primo intendente del Principato Ultra, vennero abbattute le mie porte e le mura, di cui oggi restano solo microscopici resti. Ciò consentì l'espansione dell'abitato.

Un importante ruolo nella storia dei moti liberali del 1820 la ebbi grazie ai due sottotenenti Michele Morelli e Giuseppe Silvati, che capitanarono le truppe ribelli che, partendo dalla mia città, si diressero su Nola e poi su Napoli, innescando le rivolte estesesi in tutto il Meridione, tanto da costringere Ferdinando I di Borbone a concedere la Costituzione. La rivolta infine fu repressa nel sangue e Morelli e Silvati vennero decapitati con la ghigliottina.

Ritratti di Morelli (a sinistra) e Silvati (a destra)
L'Onorevole Fiorentino Sullo

L'Unità d'Italia non fu particolarmente provvida di vantaggi per me e conobbi un nuovo periodo di decadenza, aggravato dalle distruzioni notevoli apportate dai bombardamenti americani durante la Seconda Guerra Mondiale. Tantissimi miei cittadini si videro costretti a emigrare per cercare miglior fortuna all'estero.

La decadenza si interruppe a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, anche grazie ad un politico lungimirante, di Paternopoli, Ministro dei Lavori Pubblici, l'Onorevole Fiorentino Sullo, che riuscì a ottenere il passaggio dell'Autostrada A16 Avellino-Napoli e consentendo, nell'arco di meno di trent'anni, che la mia popolazione raddoppiasse. Ci fu una notevole estensione della superficie edilizia, con la nascita e la crescita di numerosi quartieri. Tuttavia l'obsolescenza di diversi antichi edifici nell'area storica causò tantissimi morti in seguito al terremoto del 23 novembre 1980. Così, in seguito a questo evento calamitoso e luttuoso, colsi l'occasione per avviare un rinnovamento, oggi ancora non completamente compiuto, nonostante siano passati decine e decine di anni.





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RUDERI DEL CASTELLO

Si ignora ancora oggi quando e da chi il mio castello fu edificato.  Il luogo in cui sorge, basso e angusto, è chiuso ad ovest dalla collina "la Terra", a nord e nord-est e a sud e sud-est da due dorsali selvose, che degradano a oriente verso la piana di Atripalda. Chiunque direbbe che è un castello fuori posto, collocato in una buca invece che in un luogo più adatto come poteva essere il rialto del duomo, ove, isolato, avrebbe avuto grande dominio morale, campo di vista in ogni senso, e molta forza difensiva, dato che qualunque nemico non avrebbe potuto trasportare con agio lassù macchine per dare la scalata o per aprire la breccia, e, quand'anche vi fosse riuscito, avrebbe corso poi rischio di venir ributtato giù per ripidi pendii. Tuttavia, se il castello fu costruito in quella bassura, e tra due dorsali su cui un'armata assediante avrebbe potuto collocare osservatori e trovare valido appoggio per opporsi ad eventuali atti controffensivi dei difensori della città, fu perché la collina "la Terra" era già gremita di case.

Quasi certamente il castello fu edificato tra il IX e il X secolo, allorquando le città e i villaggi irpini, per salvaguardarsi dai frequenti attacchi di saraceni o di bizantini o di briganti, elevarono mura o castelli. In tale epoca, infatti, era già avvenuta una certa fusione tra i longobardi e le popolazioni locali, con comune interesse a fortificarsi. 

La cerchia murata del castello abbracciava l'intera collina "la Terra" e conteneva il duomo, l'episcopio (ossia l’edificio adibito a seminario), sei o sette badie e semplici chiese, piazzette o cortili, vicoli, rampe e case. 

Nei secoli seguenti il castello e la città ospitarono imperatori e re, oltre che primati e baroni di diverse città.  Tuttavia la residenza più rinomata, per riqualificazione edilizia e funzionale, dal 1513 al 1528, fu quella di Maria de' Cardona, donna di singolare bellezza, assai ricca, di vasta cultura, pia, e molto appassionata per la musica, annoverata tra le signore più illustri dei suoi tempi, usava dimorare a lungo ad Avellino. La Cardona accolse di frequente nel castello letterati e musicisti e tenne convegni intellettuali, concerti, ecc.; d'altra parte, essa diede pure sviluppo alla città e ne accrebbe industrie e commerci. 

Dal 1581 la Città divenne proprietà dei Caracciolo. Camillo Caracciolo, verso il 1615, ridusse il castello quasi a palazzo, e convertì il terreno attiguo in giardino. Con il Principe Marino II, l'Accademia de' Dogliosi, fondata da Maria de' Cardona, ebbe nuova linfa e il castello divenne dimora di riunioni per discutere di questioni scientifiche, letterarie, morali o per ascoltare versi, oltre che di feste o veglie sontuose, allietate da rappresentazioni, da concerti, da balli o da giochi.

Nel 1630 il castello ospitò, per tre giorni, Maria d'Austria, sorella di Filippo IV re di Spagna, regina d'Ungheria e poi imperatrice. Nel 1656 divenne centro di provvidenze per fare fronte alla peste che infieriva in Avellino e nell'Italia Meridionale. 

In seguito alla peste del 1656 iniziò il suo graduale declino. Molte delle pietre originali del Castello furono utilizzate nella prima metà del 1700 per la costruzione del Palazzo Caracciolo in Piazza Libertà, oggi sede della Provincia di Avellino. Devastato dai numerosi eventi sismici che si sono succeduti, è di proprietà del Comune di Avellino che ne ha iniziato - da molti anni - i lavori di recupero e restauro e non riesce a terminarli. 

Particolare dei ruderi del Castello



CASINO DEL PRINCIPE

La Casina (o Casino) del Principe di Avellino, situata lungo la via che conduceva verso le Puglie,  fu realizzata intorno al 1591 dal principe Camillo Caracciolo come luogo d'accesso ad un sontuoso parco retrostante che, ricco di alberi, piante e fiori esotici, era luogo ideale per caccia e diporto. Nel 1647, durante la cosiddetta rivoluzione di Masaniello, sia il castello che il parco subirono ingenti danni a seguito dei quali persero l'antico splendore. La struttura fu così riconvertita in taverna ed albergo per i viaggiatori provenienti da Napoli e diretti a Foggia, Bari ed altre località pugliesi. 

La sua morfologia è con una corte a pianta quadrata, con aperture laterali che conducono ai piani superiori. All’interno della corte, in posizione prospettica rispetto al portale principale, è collocata una fonte abbeveratoio, che s’innalza su un basamento in pietra lavica. La fonte è realizzata in forma semicircolare con nicchione a conchiglia, di cui oggi è visibile solo la struttura sottostante in tufo e le due colonne bugnate con mascheroni in marmo. Il complesso della Casina è a due piani a forma di C, e racchiude un cortile; ad esso è affiancato un edificio ex fienile posto al di là di un piccolo appezzamento di terreno come un giardinetto.

Il restauro ha lasciato inalterata la magia del passato, conservando i locali che un tempo erano adibiti a “botteghe” e che oggi sono location di appuntamenti ed eventi d’arte e di musica, proseguendo nella tradizionale scia culturale che i Caracciolo diedero a questo luogo, trasformandolo in crocevia di arte e cultura.

A copertura degli ambienti del piano terra, originariamente destinati ai cavalli (scuderie), ed in quelli del piano superiore, riservato ai signori, si ritrovano dei tronchi, testimoni del carattere essenziale della Casina, destinata originariamente alla caccia e diporto, più che a offrire ambienti sofisticati. 

Facciata del Casino del Principe
Giardino del Casino del Principe



TORRE DELL'OROLOGIO

La Torre dell'Orologio è il mio simbolo. E' un monumento in stile barocco alto circa 36 metri.

Il suo basamento è a bugne riquadre. Originariamente aveva due piani, con quello più elevato aperto. Successivamente, venne aggiunto un terzo livello dotato di un orologio a campane.

Data la sua altezza e la sua collocazione, la Torre dell'Orologio sovrastava gli edifici circostanti e la sua sommità è visibile da lontano.

Come tutti i monumenti secolari che sono stati eretti nelle mie terre, la Torre dell'Orologio ha vissuto le conseguenze dei vari terremoti successivi alla sua costruzione, nel XVII e XVIII secolo. Perciò, venne restaurata nel 1782 e, successivamente al sisma del 23 novembre 1980, allorquando crollò quasi interamente, fu quasi interamente ricostruita, mantenendo solo alcuni elementi originali.

Torre dell'orologio



OBELISCO A CARLO II D'ASBURGO

Nel 1665 diventava Re di Spagna, a soli quattro anni, Carlo II d’Asburgo. Fu così che i Caracciolo commissionarono nel 1668 l’obelisco in stile barocco, ubicato in Piazza Amendola, su cui fecero raffigurare il principe, che all’epoca aveva circa 7 anni, con abiti sontuosi e la faccia da bambino. L’Obelisco di Carlo II d’Asburgo è sovrastato dall’imponente presenza della Torre dell’Orologio. I miei cittadini lo chiamano il “Reuccio di bronzo”.

Nella base c’è un medaglione, riportante un ritratto che gli storici non hanno mai saputo attribuire con certezza, ma che presumibilmente deve rappresentare o lo scultore dell'opera Cosimo Fanzago o il committente principe Francesco Marino Caracciolo. 

Obelisco di Carlo II d'Asburgo, sovrastato dalla Torre dell'Orologio

PALAZZO CARACCIOLO

In Piazza della Libertà non può sfuggire al visitatore la bellezza del Palazzo Caracciolo, fatto erigere tra il 1708 ed il 1713 dalla Principessa Antonia Spinola-Colonna, consorte di Marino III Caracciolo, come nuova residenza feudataria, in sostituzione del sempre più fatiscente Castello.

L'edificio ospitò il 4 e 5 gennaio del 1735, "in pompa magna", il Re Carlo III di Borbone, che si apprestava a visitare il Regno appena ottenuto.

Il trasferimento dal Castello al nuovo Palazzo ebbe, ovviamente, ripercussioni sull'assetto urbanistico di Avellino, e spostò il baricentro nell'area della odierna Piazza e del Corso Vittorio Emanuele II.

Quando divenni Capoluogo del Principato Ultra nel 1806, la mia amministrazione acquistò l'edificio per la somma di 24.000 ducati e, così, nel 1808 divenni sede per diversi uffici pubblici, quali l'Intendenza provinciale , i Tribunali civile e correzionale, la Corte delle Assise e la Tesoreria. Ecco perché il Palazzo è anche noto come "Palazzo dei Tribunali".

Nel 1839, a spese dell'Amministrazione Provinciale, il Palazzo fu sopraelevato di un terzo piano. 

Oggi l'entrata è protetta da due leoni. Sulla facciata una lapide ricorda Giuseppe Garibaldi e una meridiana solare segna il tempo.

Il Palazzo appartiene al demanio provinciale dal 1987 e dal 1995 è sede dell'Amministrazione della Provincia di Avellino.

Facciata del Palazzo Caracciolo



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LA CATTEDRALE DELL'ASSUNTA E LA CRIPTA

E' l'opera più importante della città: il Duomo o Cattedrale dell'Assunta.

Nel 969 l'Imperatore germanico Ottone, da cui dipendeva il Principato di Benevento, per frenare la crescita del clero bizantino, chiese al Papa Giovanni XIII l'istituzione della Sede Vescovile di Avellino. Fu così che il 26 maggio dello stesso anno il Papa conferì a Landolfo I, Vescovo di Benevento, il titolo di Arcivescovo ed elevò ad Archidiocesi metropolita la mia sede. Avellino fu una delle dieci diocesi suffraganee (dipendenti), insieme a Quintodecimo (l'antica Aeclanum), Ariano (Irpino), Alife, Ascoli (Satriano), Bovino, Larino, Sant'Agata (dei Goti), Telese e Volturara (Apula). Tra le suffraganee, però, Avellino venne posta in posizione privilegiata, come dimostra la collocazione del Vescovo di Avellino accanto all'Arcivescovo di Benevento sulla porta bronzea del Duomo di Benevento.

Così la Chiesa Madre di Santa Maria, di modeste dimensioni e collocata nella parte più alta del nucleo originario longobardo, divenne la Chiesa del Vescovo. Nel 1132, sotto il Vescovo Roberto (1131-1144), la facciata venne abbellita con marmi. Nel 1145 si decise di restaurare/ricostruire la Cattedrale e durante i lavori, il 10 giugno 1166, mentre si recuperava presso Urbinianum (attuale frazione di Valle) una colonna da utilizzare nella ricostruzione, alla presenza del Vescovo Guglielmo, vennero ritrovati i resti dei Santi Martiri antiochei Modestino, Fiorentino e Flaviano. Tali resti furono immediatamente traslati nella stessa Cattedrale. 

Il Vescovo Vitantonio Vicedomini (1580-1591) fece ricostruire il tetto e nel 1667 Cosimo Fanzago diresse i lavori che interessarono l'altare maggiore. Il Duomo ha subito tanti ulteriori interventi di restauro, a causa dei terremoti del 1683, 1694, 1702 e 1732. 

Nel 1778 il Vescovo Martinez (1760-1782) fece realizzare la scalinata di accesso al Sagrato, oggi opportunamente protetto da un alto recinto, per prevenire atti vandalici.

La notte dell'Ascensione del 1799 le truppe repubblicane francesi saccheggiarono l'edificio, portando via i più preziosi reliquari.

Nel 1813 l'altare maggiore venne sostituito da quello barocco proveniente dal soppresso Eremo camaldolese dell'Incoronata, ubicato nei pressi di Summonte. Il Vescovo Giuseppe M. Maniscalco (1844-1854) fece realizzare gli archi nelle pareti delle navate laterali per sistemare meglio gli altari. Con il Vescovo Francesco Gallo (1855-1896) il Duomo subì un intervento di restauro che gli ha donato il risultato estetico neoclassico che oggi il visitatore può ammirare. Per la facciata furono impiegati marmi delle cave di Gesualdo donati dal Re Ferdinando II. Furono modificati anche gli interni, secondo i disegni dell'Architetto Vincenzo Variale. Fu rifatto anche il pavimento in marmo.

Il Vescovo Guido Luigi Bentivoglio (1939-1949) intraprese interventi volti a preservare l’edificio e soprattutto il seminario, colpiti dal bombardamento del settembre del 1943. Infine, il Vescovo Gioacchino Pedicini (1949-1967) promosse il completo restauro della Cattedrale. Un ulteriore intervento, iniziato nel 1976, venne effettuato su iniziativa del Vescovo Pasquale Venezia su progetto dell'Architetto Marcello Petrignani. 

L'attuale edificio è il risultato dell'ultimo intervento di ristrutturazione, intervenuto dopo il terremoto del 23 novembre 1980, che ha restituito al culto la chiesa il 6 ottobre 1985.

Facciata neoclassica del Duomo di Avellino

Il visitatore che si appresta a visitare la Cattedrale si trova immediatamente innanzi a una chiesa dalla tipica facciata neoclassica, con doppio ordine di colonne in stile corinzio in marmo. La vecchia facciata era in muratura intonacata, priva del finestrone, che ora si può ammirare imponente.

Oggi vi si trovano tre portali, di cui quello centrale, nella lunetta, è impreziosito da un altorilievo che rappresenta l'Ultima Cena, opera riprodotta di un'antica scultura degli artisti napoletani Gennaro e Beniamino Cali, andata distrutta a seguito dei bombardamenti del settembre 1943. 

Le tre porte di ingresso sono in bronzo cesellato, opera dello scultore avellinese Giovanni Sica. La porta centrale raffigura episodi della città di Avellino e dei suoi vescovi.

Le due nicchie accolgono a sinistra la statua del Patrono di Avellino, San Modestino, e a destra la statua del Patrono dell'Irpinia, San Guglielmo da Vercelli, fondatore del Santuario di Montevergine. Anche in questo caso si tratta di riproduzioni recenti di sculture andate distrutte con i bombardamenti del 1943.

Sul timpano è rappresentato un triangolo equilatero che circoscrive un cerchio raggiante, simbolo dell'occhio divino, ovvero della divina provvidenza, che tutto vede e tutto sa.

La scalinata antistante è in stile barocco, con parapetti e transenne in marmo. La cancellata metallica posta a protezione della struttura, di recente realizzazione, è giustificata dal perpetrarsi di atti vandalici cui la facciata era soggetta.

Fino al 1980, la piazza antistante si presentava diversamente: sul lato destro, infatti, vi era l'antico seminario, poi crollato a seguito del terremoto del 23 novembre 1980. Oggi sono visibili, invece, i resti archeologici di antichi edifici.

Il campanile è esterno alla struttura della Cattedrale e vi si accede solo per il tramite del cortile interno. 

Venne realizzato per volere del Vescovo Gioacchino Martinez (1760-1782) e per la sua base furono impiegati materiali tratti da edifici e monumenti di età imperiale provenienti dalla necropoli della vicina Abellinum. Al visitatore non possono sfuggire i blocchi di pietra, lavorati variamente, per niente uniformi, impiegati per realizzare le fondazioni e la parte bassa del campanile. 

In origine, il Campanile non raggiungeva l'altezza attuale, e solo nel XVIII secolo venne innalzato e munito della cupola a cipolla.

Campanile del Duomo di Avellino (vista posteriore)

Appena il visitatore entra nel Duomo, gli suggerisco di alzare immediatamente gli occhi al cielo sulla navata centrale e ammirare la magnifica volta a cassettoni in legno dorato, con la figura della Madonna dell'Assunta, realizzata nel XVIII secolo dall'artista Angelo Michele Ricciardi tra il 1702 e il 1703.

ta a cassettoni in legno dorato, con la figura della Madonna dell'Assunta

Sull'arco della navata centrale si possono ammirare gli apostoli Pietro (a sinistra) e Paolo (a destra) che col braccio steso indicano la Croce inserita in un medaglione centrale, mentre tra gli archi e l'architrave sono raffigurati i profeti e altri personaggi biblici, opera di Achille lovine. Infine, accanto all'arco retrostante sono stati stuccati dall'artista calabrese Giuseppe Sorbilli due Angeli.

Altorilievi degli apostoli Pietro (a sinistra) e Paolo (a destra) e sull'arco retrostante altorilievi di due angeli

La cattedrale ha uno sviluppo architettonico a croce latina e, girando lo sguardo, puoi notare le tre nevate da cui è costituita. 

Sulla lunetta della porta laterale a destra è raffigurata l'inaugurazione e benedizione solenne della rinnovata cattedrale il 1° agosto 1889 da parte del Vescovo Francesco Gallo (1855-1896).

Tenendo sempre la destra, accanto alla porta che poneva in comunicazione il Duomo con il Seminario si possono osservare due lapidi apposte sotto l'affresco rappresentante il Vescovo Giovan Paolo Torti Rogadei (1726-1742), che concorse a far concludere celermente i lavori di restauro il 17 luglio 1728, lavori resi inutili dal sopraggiunto tremendo terremoto del 29 novembre 1732. 

Nelle cinque cupolette della navata laterale destra sono raffigurati alcuni episodi della vita della Madonna e di Gesù con sua Madre. Realizzati da Achille Iovine, vennero rovinati dall'umidità e rifatti in gran parte da Ovidio De Martino.

Proseguendo verso l'altare centrale si trova l'altare con l'immagine di San Gerardo Maiella, che visse in Irpinia, un successivo altare con un medaglione della Madonna del Carmine, originariamente ubicato presso il "Carminiello allo Stretto", abbattuto dopo la guerra. Vi è poi l'altare dell'Adorazione dei Magi, con il dipinto probabilmente più bello del Duomo, opera di Marco Pino da Siena, che lo realizzò presumibilmente tra il 1570 ed il 1580. Segue l’altare di Sant' Antonio da Padova, datato 1729. In passato, la statua del Santo si trovava in una cappella del demolito Convento di San Francesco (Piazza della Libertà). Infine, più avanti, si trova l'altare con la grande tela della Crocifissione di Achille lovine, che il Vescovo Gallo chiamò ad Avellino, per adornare un preziosissimo reliquiario a forma di croce che conteneva due ampolle di vetro sigillato, per custodire una delle Sacre Spine della Corona di Gesù ed un pezzetto della Croce, che Carlo I d'Angiò prelevò dalla Cappella Reale di Parigi. Tale astuccio d'argento, montato su di un piedistallo con due grandi Angeli, venne rubato unitamente ad altre argenterie la notte dell'8 novembre 1825, imponendo il rifacimento di una copia del piedistallo a spese della città.

Nell'abside della navata laterale di destra è stata ricavata la Cappella della Santissima Trinità, rappresentata con un bassorilievo in marmo. Si tratta di un lavoro risalente a non oltre la metà del XVII secolo, attribuito a Giovan Domenico D'Auria e Annibale Caccavello, sotto la direzione di Giovanni Miriliano (noto come Giovanni da Nola). Nella Cappella, sulla destra, si trova un busto di San Lorenzo e sotto una teca con reliquia.  A sinistra, c'è una statua di Santa Lucia.

Vescovo Giovan Paolo Torti Rogadei
Altare di Sant'Antonio da Padova
Altare di San Gerardo Maiella
Cappella della crocifissione
L'adorazione dei Magi
Cappella della Santissima Trinità

Dirigendosi verso il transetto, elevato di due scalini, si nota il un nuovo altare, semplice ed in marmo bianco, posizionato secondo quanto previsto dalla Riforma liturgica del Concilio Vaticano II, onde permettere al celebrante di rivolgersi verso i fedeli. Nella piccola urna sotto l'altare, si trovano delle reliquie dei Martiri avellinesi. Davanti all'altare sono collocati l'ambone ed il fonte battesimale, mentre ai suoi lati, si trovano dei sedili in pietra per i sacerdoti che concelebrano col Vescovo nelle feste più importanti. Sul lato sinistro, si trova il bel quadro della Sacra Famiglia e sul lato destro, quello del Martirio di San Lorenzo, opere dell’artista Achille Iovine. Sotto al cornicione, in quattro nicchie, si trovano le statue in stucco ed a grandezza naturale dei quattro Evangelisti, con a sinistra, Marco e Giovanni e sulla destra, Matteo e Luca. Tra gli archi ed il cornicione sono riprodotti, subito dopo l'ambone, San Gregorio Nazzareno, Sant'Ambrogio, Sant'Atanasio, San Girolamo, San Celestino I Papa, San Giovanni Crisostomo, San Basilio e Sant'Agostino. Sul braccio sinistro del transetto è possibile osservare i quadri di San Francesco Saverio (a sinistra), San Carlo Borromeo e la peste di Milano (a destra). Sul braccio destro del transetto si possono osservare (a sinistra) un quadro di Sant'Andrea Avellino, teatino, che mentre celebra la messa vede l'ostia trasformarsi nel Bambino Gesú vivo nelle braccia della Madonna, e (a destra) un quadro di San Modestino. II quadro al centro del soffitto ritrae San Gaetano da Thiene, fondatore dei Teatini (o Chierici Regolari) ai quali appartennero alcuni vescovi avellinesi. Le cinque tele sono opera di Angelo Michele Ricciardi.


Vista dell'altare con ambone e fonte battesimale

Dirigendosi verso l'abside centrale si può ammirare l'altare maggiore, intarsiato sapientemente, e il coro ligneo, risalente al XVI secolo, restaurato da Erminio Trillo di Bagnoli.  

L'altare maggiore, preconciliare, domina l'intera abside. Proviene dal Santuario dell'Incoronata sito nei pressi di Summonte e fu realizzato nel 1577 per volere di Laura Brancaccio, moglie in seconde nozze di Antonio Carafa. Quando, nel 1809, i beni furono incamerati dallo Stato, i frati dovettero abbandonare la struttura, che andò in malora. Per questo, nel 1813, l'altare venne trasportato nella Cattedrale e rimpiazzò quello antico. Con il successivo prolungamento dell'abside, l'altare venne arretrato alla posizione attuale. La pregevole fattura sottolinea la bravura del suo progettista, l'Architetto bergamasco Cosimo Fanzago, a cui si devono tanti monumenti avellinesi del periodo dei feudatari Caracciolo.

Il coro, di autore ignoto, venne realizzato nella prima metà del XVI secolo, epoca durante la quale il Vescovo Ascanio Albertini (1549-1580) fece restaurare ed abbellire il Duomo. E' costituito da dodici pannelli recanti storie evangeliche scolpite in noce (a partire da sinistra): le Palme, l'Ultima cena, la Lavanda dei piedi, l'Orazione nel Getsemani, l'Arresto di Gesù, il Processo davanti al sommo sacerdote, la flagellazione di Gesù, la Condanna inflitta da Ponzio Pilato, il Viaggio con la Croce, la Crocifissione, la Deposizione nel Sepolcro, la Resurrezione.

Sotto la volta, nove medaglioni di stucco riproducono (da sinistra) San Silverio Papa, il Vescovo Francesco Scannagatta, San Modestino, San Roberto, San Sabino, il Vescovo Timoteo, San Guglielmo, il Vescovo Felice Leone e Sant'Ormisda Papa. Nelle vele, sotto i medaglioni, sono riprodotti a colori i simboli delle beatitudini (misericordia, fame, purezza di cuore, pianto, sofferenza, pacificità, povertà, mitezza), con in mezzo Cristo. Fu il Vescovo Francesco Gallo (1855-1896) a commissionare tutte le pitture figurative su intonaco, incluse quelle dell'abside, ad Achille lovine. All'uscita dell'abside si vede un quadro di Angelo Michele Ricciardi relativo alla cacciata degli Angeli ribelli dal Paradiso. Alzando lo sguardo sulla prima parte della volta dell'abside, si nota la rappresentazione di tre tappe della vita di San Modestino, all'atto della sua partenza in nave da Antiochia per raggiungere la Campania e quindi Avellino (in partenza la gente è triste e piange, all'arrivo la gente è festante), in punto di morte, nel suo letto, dove gli vengono dati i conforti religiosi alla presenza del clero in preghiera, mentre gli Angeli gli recano la palma del martirio e la corona del premio che gli verrà attribuita dal Signore, all'atto del ritrovamento del suo corpo presso il pagus Urbinatum, con la processione che accompagna i suoi resti, mentre il Vescovo attende all'ingresso della nuova Cattedrale, con i fedeli che si genuflettono come segno di devozione.

Uscendo dall'abside, di fronte alla navata di sinistra, si trova la Cappella del Santissimo, già detta Cappella di S. Modestino, ed ancora prima Cappella del Tesoro, visto che conteneva i resti dei Santi protettori della città, quasi tutti inclusi in busti di argento. Durante la Repubblica Partenopea, nel 1799, vennero prelevati quasi tutti, tranne San Modestino e San Lorenzo. Gli altri erano Fiorentino, Flaviano, Gennaro, Anna, Biagio, Carlo Borromeo, Filippo Neri, Gaetano da Thiene, Andrea Avellino, Apollonia, Francesco Saverio e San Giuseppe. Nella Cappella si trovano due piccoli quadri, la Predicazione di San Gaetano da Tiene, di Giuseppe Simonelli (a sinistra) e la nascita di Gesù, di Giacinto Diana (a destra). Sul pavimento, risalta lo stemma in marmo di Avellino, l'Agnello dell'Apocalisse sul Libro dei Sette Sigilli.

L'Altare maggiore preconciliare
Cappella di San Modestino

Proseguendo sulla navata sinistra, in alto si trovano altre cinque cupolette con episodi della vita della Madonna e di Gesù con sua Madre, realizzati sempre dallo Iovine e ripresi in parte dal De Martino, mentre sulla parete si può osservare dapprima un altare con una statua del Sacro Cuore di Gesù, che sostituisce il quadro di Sant'Alfonso Maria dei Liguori, che secondo la Tradizione qui avrebbe celebrato la messa. Segue, poi, l'altare della Madonna del Rosario, dove si trovano un quadro della Madonna con San Domenico e San Luigi Gonzaga, dell'artista Angelo Michele Ricciardi. Altro altare è quello dominato dalla bella statua in legno d'olivo della Madonna dell'Assunta, opera realizzata nel XVIII secolo da Nicola Fumo di Baronissi. Nel 1760 la statua con i marmi che adornano l'altare, ubicata presso il Convento di San Francesco in Piazza Libertà, venne trasferita presso il Duomo. Voltando le spalle si può notare un foro ricavato nel pilastro, protetto da un vetro, eseguito come "saggio" per evidenziare il rivestimento di pietra della colonna originaria. Seguono, infine, due Cappelle, di cui la seconda fungeva da Battistero: la cappella dell'Annunciazione e la cappella della Vergine dei sette dolori. Dopo l'ultimo restauro, il fonte battesimale venne spostato davanti all'altare maggiore, nel transetto.

Il Vescovato di Francesco Gallo (1855-1896) è ricordato dal busto sul parapetto della cantoria e dagli stemmi sulla porta d'ingresso e sull'arco dell'abside e la sepoltura nella Cattedrale.

Cappella del Sacro Cuore di Gesù
Cappella dell'Annunciazione

Cappella della Madonna del Rosario
Cappella della Vergine dei Sette Dolori

Cappella della Madonna Assunta

Come la tradizione voleva, anche la Cattedrale di Avellino rispettava alcuni canoni, come quello dell’orientamento ad oriente della facciata e la realizzazione di una Cripta, ad un livello inferiore con l’altare della celebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo, dove venivano collocati i resti di un martire.

Nel caso della Cattedrale di Avellino, il dislivello del suolo e l’innalzamento del piano di calpestio per ricavarvi i vani delle sepolture, permisero di ricavare ad un piano sottostante una piccola chiesa, residuo dell'originaria struttura, da cui nel XVII secolo, introducendo una serie di modifiche, venne ricavata la chiesetta romanica di Santa Maria dei Sette Dolori, con caratteristiche colonne di spoglio (ovvero provenienti dalla spoliazione di altri edifici), tutte diverse fra loro.

Il fatto che la Cripta dovesse resistere alle notevoli sollecitazioni determinate dal peso delle strutture superiori, fece utilizzate colonne monolitiche o in due pezzi, volte e blocchi tutti in pietra inseriti nei muri perimetrali di rilevante spessore.

Poiché le colonne di spoglio non presentano tutte la stessa altezza, vennero utilizzati pulvini (elementi architettonici sovrapposti ai capitelli, con funzioni strutturali) di diverso spessore e forma per ottenere un unico livello per la impostazione delle volte a crociera.

Gli stucchi sono opera di Angelo Michele Ricciardi, che dipinse alcune scene della vita di San Modestino.

Durante lavori di restauro, vennero alla luce capitelli romani, colonne longobarde ed affreschi tardo-settecenteschi.

Nel pavimento della Cripta vi è qualche vano più profondo, scavato nel tufo, per la sepoltura dei confratelli della Congrega dei Sette Dolori, che gestì la Cripta dal 1714, da cui prende il nome la strada dalla quale si accede al luogo sacro. Una lapide risalente a tale anno, ricorda che tali sepolture vennero realizzate grazie al contributo della Principessa di Avellino Antonia Spinola Colonna.


Cripta - Chiesetta romanica di Santa Maria dei sette dolori




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