ARIANO IRPINO

Vista dall'alto del castello e del viale della villa

La città risorta ai tumulti della terra e della storia  





La mia storia


C'è un punto di valico dell'Appennino Campano che consente il passaggio più agevole tra il versante tirrenico e quello adriatico. In quel preciso punto, nel bel mezzo di due complessi rocciosi che, comprimendosi, concorrono alla formazione di questa inquieta catena montuosa,  ci sono io, Ariano Irpino, ad aspettarti.

Già nel neolitico sono state lasciate tracce di vita di antiche civiltà nella zona collinare oggi denominata La Starza, sulla collina del Monte Gesso, lì dove il torrente La Starza incontra i fiumi Miscano e Cupido (insediamenti preistorici risalenti al VI millennio a.C.).

A queste prime popolazioni appenniniche subentrarono gli Hirpini, provenienti da un ramo dei Sanniti, che fondarono nella attuale zona di S. Eleuterio al confine con il comune di Castelfranco in Miscano (BN), la città di Aequum Tuticum (ovvero "Pianura Grande"). 

Tale insediamento divenne uno dei principali centri abitati della zona, dedito al culto della dea Afrodite. 

Intorno al 300 a.C., durante la III guerra sannitica, la città venne espugnata da Fabio Fabriciano, figlio del proconsole dell’Hirpinia, che inviò a Roma la statua della dea Afrodite Nicefora come preda di guerra.

Aequum Tuticum divenne municipio romano, nodo stradale importantissimo al centro dei traffici tra Tirreno ed Adriatico, attraversata dal Regio Tratturo Pescasseroli - Candela, e ubicata all’incrocio tra la Via Traiana che andava da est a ovest e la Via Herculia avente direzione nord-sud. 

​Il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, realizzato originariamente per consentire la transumanza delle greggi dall'Abruzzo alla piana pugliese, nacque sul confine fra Gioia (AQ) e Pescasseroli (AQ), alle sorgenti del fiume Sangro, in Località Campo Mizzo, e attraversava l'Abruzzo, il Molise, la Campania e la Puglia e terminava il suo percorso al Pozzo di S. Mercurio a Candela (FG). Divenne ben presto strada di scambio e di vendita di prodotti caseari e della lana. Per questo motivo è soprannominata anche "la via della lana".

Era lunga 211 km e attraversava, oltre alle mie terre, anche quelle dei centri abitati di Casalbore, Montecalvo Irpino, Villanova del Battista e Zungoli. 

Il regio tratturo Pescasseroli - Candela (tratto abruzzese in arancione, il tratto molisano in azzurro, il tratto sannita in verse, il tratto irpino in rosso e il tratto pugliese in giallo 

La via Traiana era una delle strade più importanti costruite tra il 108 e il 110 d. C. per la sua funzione di collegamento tra l'Italia e i principali imbarchi verso l'Oriente. Fu voluta da Traiano e ricalcava un tracciato di cui si erano serviti già nei secoli addietro i Romani durante le guerre sannitiche. La via si immetteva nella contrada S. Spirito verso il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, coincidendo con esso per un lungo tratto, fino al sito della Malvizza di Montecalvo Irpino. A questo punto lasciava il Regio Tratturo e proseguiva in direzione del Ponte sul Miscano, giungendo ad Aequum Tuticum. Proseguendo, la strada continuava in direzione dell'attuale Greci e di lì si dirigeva in direzione di Brindisi. 

La via Traiana, a differenza dell'Appia, che fu abbandonata dopo la caduta di Roma, acquistò notevole importanza sotto la dominazione gota e longobarda. Sotto la dominazione normanna, quando il territorio irpino si popolò di castelli e cinte murarie, la via Traiana serviva per il trasporto veloce in Campania delle derrate dalle Puglie.

​La via Herculia, così chiamata in onore di Valerio Massimiano soprannominato l'"Erculio", che ne curò la sistemazione tra la fine del III e l'inizio del IV sec. d.C., ricalcava in parte il tracciato del Regio Tratturo Pescasseroli - Candela per poi proseguire in direzione del fiume Cervaro, verso un'area del mio territorio denominata Difesa Grande, fino a Potentia (Potenza).

La Via Appia, la Via Traiana e la Via Herculea

Il passaggio per le mie terre di importanti strade di comunicazione consentiva alle mie genti di raggiungere e mantenere elevate condizioni sociali e ogni comodità.  Tuttavia c'era l'altro lato della medaglia con cui confrontarsi: i terremoti che da un versante all'altro dell'Appennino attraversavano i miei crinali portando lutti e distruzione. Così un evento tellurico - il primo di cui si abbia traccia nelle fonti storiche - verso la metà del IV sec. d.C., devastò Aequum Tuticum e la guerra goto-bizantina prima e la conquista longobarda poi ne causarono quasi il completo abbandono, fino a che, intorno al VI-VII sec. la città, anche a seguito di altri forti e ricorrenti terremoti, fu abbandonata del tutto. ​La popolazione si spostò in un'area nuova e vuota, posta su un'altura a sud a circa 8 chilometri di distanza, su tre colli, denominati Calvario, Castello e S. Bartolomeo. Iniziò così l'insediamento sul cosiddetto "Tricolle”, l’attuale area del mio principale centro abitato, che, grazie alla posizione geografica e topografica, divenne la principale roccaforte longobarda a diretto contatto con i domini greci della Puglia.  La sua altura la rendeva senz'altro più difendibile e la distanza rispetto alle grandi vie di comunicazione la metteva al riparo dal continuo andirivieni di Goti e Bizantini. Era anche un'area anticamente sacra, perché sul primo colle, ora Piano della Croce, era stato edificato il tempio di Giano, da cui probabilmente deriva il nome attribuito a questo nuovo centro abitato, chiamato Ariano da “Ab Ara Iani”. Sul secondo colle è stata eretta l'attuale Cattedrale, dove si ergeva il tempio di Apollo. 

Con l’arrivo dei Longobardi e la loro conquista di Benevento, tolta ai Greci-Bizantini da Zotone, divenni gastaldato nel Ducato Longobardo, dal 571 al 774.

L'11 gennaio 848 e il 25 ottobre 989 due violenti terremoti misero a dura prova il mio centro abitato.

Nel 1017 un gruppo di cavalieri normanni, di ritorno dalla Terra Santa, si fermò in Italia e tre anni dopo si mise al servizio dei Bizantini dominatori della vicina Puglia. Il potere dei Normanni crebbe al punto che nel 1042 spodestarono i Bizantini e divennero padroni assoluti di tutta la regione. Più tardi, nel 1096, dopo aver scacciato i musulmani dalla Sicilia, gli stessi dettero origine al Regno Normanno, successivamente diviso in contee. Guglielmo, divenuto Conte della regione, divise le terre conquistate con altri 11 compagni tra cui Gerardo di Bonne Herberg (Buonalbergo), cui toccò una vasta zona compresa tra le mie terre e quelle dell'attuale Morcone. 

Divenuta Contea, che comprendeva buona parte del Sannio e l'Irpinia, conobbi, con il conte Gerardo e i suoi successori Ariberto e Giordano, la fase del mio massimo prestigio e potenza.  Purtroppo non durò a lungo. Nel 1122 si accese uno scontro tra Guglielmo, duca di Puglia, alleato di Ruggero II re di Sicilia, e Giordano conte di Ariano, Casalbore e Buonalbergo. L'esercito pugliese-siciliano costrinse il conte Giordano alla fuga. La mia popolazione si ritrovò alle dipendenze del re di Sicilia, sotto l'influsso pugliese. 

Il 12 maggio e l'11 ottobre 1125 due violente scosse sismiche distrussero tutti i paesi del circondario di Benevento, compreso il mio, e nel 1139 l'eruzione del Vesuvio coprì le mie terre con 5 centimetri di cenere.

Nonostante le calamità naturali, con i Normanni ripresi il ruolo di primaria importanza e fui scelta come centro di un vasto territorio che comprendeva larga parte del Sannio e dell'Irpinia. Nel mio Castello, che nel frattempo era stato potenziato e ingrandito, nell’estate del 1140, Ruggero II il Normanno, Re delle Due Sicilie, tenne il suo primo Parlamento ed emanò la nuova “Costitutiones Regni Siciliae” nelle famose Assise di Ariano, coniando la nuova moneta d’argento il Ducale, che durò fino al 1860, e il Follaro, moneta di rame che sostituì l'antica Romesina, secondo il cambio di 3 a 1.

Con la Costitutiones Regni Siciliae, Ruggiero II sancì la nascita del Mezzogiorno d'Italia quale entità politica autonoma ed unitaria.

Il follaro
Il ducale
Ruggiero II il Normanno

I terremoti non lasciarono la mia popolazione tranquilla a lungo. Così nella prima metà del secolo XIII fui scossa da altri due violenti sismi, cui seguì nel marzo del 1255 il saccheggio e la distruzione dei saraceni di Manfredi di Svevia.

Nel 1266 iniziò la mia ricostruzione da parte di Carlo I D'Angiò, che, riconoscente della lealtà dimostrata dagli arianesi, donò loro due Sante Spine della corona che cinse il capo di Gesù.

Il 26 febbraio 1269, fui concessa da re Carlo I D'Angiò al francese Enrico de Vaudemont (di Valdimonte), insieme alle vicine Contee di Montefusco, Padula, Laurino e Zungoli.

Dal 1294 la mia Contea finì sotto il dominio della famiglia Provenzale dei Desambramo (o De Sabran o De Shabram o De Sabramo), dei quali Elzeario divenne anche santo e successivamente nominato copatrono di Ariano. I Desambramo dominarono la mia Contea fino al 1413, allorquando Ermenegildo (o Ermengao) si ribellò alla regina Giovanna ed al re Ladislao e venne da questi spodestato. 

Nel mentre accadevano questi eventi politici, nel 1349 due forti scosse di terremoto, avvenute l'8 settembre e il 10 ottobre,  danneggiarono gravemente molti edifici, tra cui il Convento e la Chiesa di S. Francesco.

Carlo I d'Angiò

Nel 1417 passai temporaneamente sotto l'influenza di Francesco Sforza e poi fui definitivamente affidata ad Alfonso d'Aragona, che nel 1440 mi lasciò nelle mani del Gran Siniscalco, lo spagnolo Inico (o Inigo, o Arrigo, o Errico) de Guevara.

La notte del 5 dicembre 1456 fui completamente rasa al suolo da quello che probabilmente è il più grave sisma che io ricordi. In quella occasione morirono quasi 2000 arianesi.

Nel 1485 Pietro de Guevara, figlio di Inico, perse la mia città a seguito della sua partecipazione alla congiura dei Baroni contro il re Ferdinando I d'Aragona in favore del Papa Innocenzo VIII.

La città, più volte abbattuta dalla natura e dalle invasioni nemiche e sempre risollevatasi, non si diede per vinta e si impegnò tutta nella ricostruzione del Castello, distrutto dall'ultimo terremoto; i miei cittadini rinunciarono anche al lavoro dei campi pur di dedicare tempo all’estrazione e al trasporto delle pietre.

​Il 14 maggio 1497 divenni Ducato di Ariano e fui venduta dal re Ferrante II d'Aragona ad Alberico Carafa, che si fregiò, così, del titolo di Duca di Ariano.

Nel 1517 un altro terremoto segnò duramente la mia città e nel 1528 un'epidemia di colera iniziò a diffondersi in maniera prolungata tra le mie terre, note come terre di passaggio di uomini e di merci e, purtroppo, di malattie.

Nel 1532 il Re Carlo V tolse il ducato ai Carafa e lo cedette a Ferrante Gonzaga.

In questo periodo il mio ducato fu più volte venduto e nel 1561 fu danneggiato da un ulteriore terremoto.

​Il 2 agosto 1585 mi riscattai dal regime feudale dei Loffredo "sborsando" 75.150 ducati e divenni Città Regia di Ariano.

Da allora fui nota alle cronache solo per i terremoti disastrosi che subivo con così alta frequenza.

Dal 7 dicembre 1626 iniziarono una serie di scosse telluriche, che durarono circa tre mesi.

Il 5 giugno 1688 un violento terremoto, con epicentro a Cerreto Sannita, danneggiò gravemente la mia Cattedrale.

L'8 settembre 1694 fui interessata da una violenta scossa tellurica, che sconvolse una vasta area comprendente Irpinia e Basilicata, provocando 4820 morti.

Il 14 marzo 1702 un altro violento terremoto mi colpì insieme a diversi centri abitati del Sannio e dell'Irpinia.

Dal 29 settembre 1732 iniziò una violenta serie di scosse sismiche, che durò per due mesi e rase al suolo gran parte del mio centro abitato. Tutte le mie 48 chiese crollarono o vennero dichiarate inagibili.

Il 26 luglio 1805 un altro violento terremoto mi scosse, insieme ad altri territori del Molise, Sannio e Irpinia, provocando 5573 morti in tutto.

Il 9 aprile 1853 si verificò un nuovo violento terremoto con epicentro a Caposele.

Il 16 dicembre 1857 un altro tremendo terremoto mi coinvolse con danni e lutti ad Ariano e altre città dell'Irpinia, della Basilicata e del Salernitano. Si contarono dagli 11.000 ai 19.000 morti in tutto il bacino sismico.

Nonostante la sequela sismica, rimasi per lungo tempo la prima cittadina dell'Irpinia per numero di abitanti.

​A seguito dell'unità d'Italia, nel 1868, divenni Ariano di Puglia

Non so se per una strana coincidenza, ma nel 1893 fui gravemente danneggiata da un terremoto proveniente proprio da questa regione e precisamente dal Gargano.

Dal 26 novembre 1905 iniziarono una serie di scosse telluriche che si ripresentarono quasi ogni anno per 25 anni.

​Nel 1930 passai alla Campania con il nome di Ariano Irpino e lo stesso anno il più violento sisma della serie iniziata nel 1905, provenne proprio dalla Provincia di Avellino, radendo al suolo Villanova ed Aquilonia e danneggiando seriamente il mio centro abitato.

I recenti terremoti del 21 agosto 1962 e del 23 novembre 1980, pur noti per la loro distruttività, mi hanno solo lievemente colpito.





Vieni a visitarmi


CASTELLO NORMANNO e MUSEO DELLA CIVILTA' NORMANNA

Il mio castello, edificato in una posizione strategica e di difficile accesso, circondato da barriere naturali, scoscendimenti e dirupi, domina le tre valli del Fiume Ufita, del Fiume Miscano e del Fiume Cervaro. 

Dalla sua sommità le vedette potevano spaziare nel vasto giro dell'orizzonte, da un lato verso i territori beneventani e di Montefusco, dall'altro verso la piana di Camporeale e le gole pugliesi. 

Deve il suo nome al periodo di edificazione in epoca normanna, allorquando prese il posto di un primitivo fortilizio longobardo articolato su pianta poligonale intorno ad un terrapieno di tufo. 

Non solo l'asprezza del luogo e la robustezza delle solide mura lo resero impenetrabile, quanto la intricata rete di vie sotterranee, che scorrevano al di là delle mura. 

La storia dei durevoli assedi ne dà atto. Re Ruggiero, che nel 1139 assediò la città, ben presto si convinse che il castrum era imprendibile; tolse l'assedio e l'ira lo indusse a devastare tutto ciò che incontrava durante la ritirata. Si pentì un anno dopo, quando entrò in Ariano come possessore. Ulteriore testimonianza dell'inespugnabilità del mio castello è riportata in un documento del Consiglio di Castiglia al tempo di Filippo IV di Spagna e di Napoli che, oltre a descrivere Ariano come città molto popolosa, unica nella Provincia del principato Ultra e di grande importanza per il regno di Napoli, menziona la presenza di un antico castello di non facile espugnazione, munito di torri di avvistamento, fossati a secco, mura e fortini, che non serviva soltanto da difesa a quella provincia, rappresentando soprattutto il baluardo del regno, allorquando fosse minacciato dalle armi nemiche.

L'edificio fortilizio fu rinnovato nella metà del XIII secolo. Vi si rifugiarono per qualche tempo il conte di Acerra Riccardo ed il legato papale Guglielmo Freschi, cardinale di S. Eustachio. 

Nel 1225 il forte fu semidistrutto dai saraceni lucherini, che entrarono con l'inganno di allearsi agli arianesi per poi radere al suolo la mia città. Solo nel 1266 gli Angioini iniziarono a provvedere al suo rifacimento. 

Demolito in parte dopo il sisma del 1456, il fabbricato fu restaurato ed ampliato grazie all'intervento di Ferrante I d'Aragona. I lavori di consolidamento, a cui parteciparono molti cittadini arianesi, durarono fino agli ultimi anni del XV secolo. 

Dopo la caduta degli Aragonesi, le opere difensive del castello, situato in posizione strategica sulla strada fra Napoli e la Puglia, vennero rinnovate ed abbellite fra il 1532 ed il 1557 da Don Ferrante Gonzaga

Nel 1585 l'edificio cadde in disuso e fu definitivamente abbandonato.

Una stampa seicentesca, pubblicata dal Pacichelli, ha restituito l'immagine del castello dopo i vari rifacimenti compiuti fra il XIV e XVI secolo. Il muro di cinta esterno aveva torrioni cilindrici angolari, a cui ne corrispondevano altri disposti concentricamente e con cortine interposte su pianta quadrilatera all'interno. Nella parte centrale del doppio recinto murario vi era il mastio piramidale, accessibile unicamente tramite un ponte e caratterizzato da tratti di mura munite di corridoi di ronda illuminati da feritoie, con merlatura guelfa. Il forte inoltre, era circondato da un fossato esterno con ingresso principale rivolto a sud e munito di ponte levatoio.

Nel 1636 il vicerè di Napoli approvò l'utilizzazione del fabbricato come cava di pietra per la costruzione del convento dei Padri Cappuccini. Successivamente i materiali edilizi provenienti dalle strutture murarie del forte furono reimpiegati per la pavimentazione di alcune strade e la realizzazione di edifici privati. 

Numerosi terremoti (1638, 1688, 1694, 1732) hanno inoltre prodotto rilevanti distruzioni del complesso difensivo più antico, cosicché attualmente restano ai vertici di un'area quadrangolare trapezia del castello le quattro torri troncoconiche con interposte cortine murarie di collegamento solo su due lati, essendo in parte demoliti in tutta la loro estensione, i muri perimetrali nel settore orientale e meridionale. 

La cinta muraria rimasta in piedi è costituita da blocchetti di pietra squadrati regolarmente nella parte basamentale e da conci di varie dimensioni disposti con meno accuratezza e legati da abbondante malta nella parte più alta. 

Le torri sono composte di due vani, uno superiore e l'altro inferiore, che prendono luce ed aria da condotti verticali originariamente destinati all'evacuazione dei fumi di sparo delle artiglierie. 

La metà dell'attuale fortezza è interrata. Se visiti la torre Est, a cui si accede tramite due rampe di scale, ti accorgi di trovarti al di sotto del livello stradale. Agli ambienti interni si accede solo dall'interno del recinto difensivo. Essi sono divisi in vani disposti simmetricamente, intercomunicanti ed illuminati da scarse feritoie e da particolari condotti cilindrici. 

Il rudere della "Torre Grande" o torremastio, che costituiva l'elemento architettonico più significativo della dimora feudale, sfida ancora il tempo. Da esso, come asseriscono antichi autori, si scorgeva attraverso la gola di Monteleone, il Golfo di Manfredonia. Il torremastio era circondato dalla corte della dimora gentilizia, a pianta quadrilatera, pavimentata con ciottoli sferoidali di fiume, tuttora visibile. All'interno della corte e non lontana dalla "Torre Grande" puoi trovare i resti di una forma circolare in muratura databile intorno alla seconda metà del XV secolo e forse utilizzata per la fusione di campane. Se ti dirigi, poi, nel settore meridionale del castello, puoi trovare alcuni ambienti con strutture murarie di forma semicircolare riferibili alle preesistenti opere di fortificazione di età longobarda, in probabile connessione con la porta principale di accesso tuttora interrata.

Sono ancora visibili, infine, le caditoie, intercalate dagli orecchioni, questi ultimi usati per le comunicazioni rapide fra le milizie operanti lungo le merlature e le postazioni nei piani sottostanti.

Nella seconda metà dell'Ottocento si provvide a livellare e alberare i fossati e i pascoli che circondavano il castello, creando così l'attuale Villa Comunale che si estende per 50.000 m². 

Sul finire del Novecento furono condotte, all'interno del maniero, diverse esplorazioni archeologiche dalle quali emerse una notevole quantità di reperti in ceramica locale di varia forma (anfore, olle, brocche, ciotole ecc.), a conferma della rilevanza di Ariano quale grande centro manifatturiero già agli inizi del Trecento se non prima.


Agli inizi del III millennio il complesso è stato oggetto di un lungo lavoro di restauro e, a partire dal 2009, ospita al suo interno il Museo della civiltà normanna.

All'interno del museo è raffigurato un grande plastico della battaglia di Hastings, che ricostruisce quanto accadde nel 1066 quando ebbe inizio l'epopea normanna in Europa. 

Nella sala delle armi sono poi in mostra 220 esemplari autentici di molteplici tipologie di armi che coprono due millenni di storia. Le armi sono organizzate secondo le famiglie tipologiche di appartenenza: 

La sala accoglie inoltre, da fondi diversi, rari esemplari di armi da taglio pre-romane e longobarde nonché un  rarissimo pilum romano, esemplare quasi unico nel panorama museale italiano. Spiccano inoltre una scure da decapitazione del XII secolo, un'armatura cinquecentesca autentica e un manichino che riproduce, in dimensioni naturali e con accurata ricercatezza filologica, un guerriero normanno a piedi, armato di tutto punto.

Oltre a pergamene, cinquecentine, incisioni e materiali lapidei, il museo custodisce anche un piatto argenteo di evangelario.

Nella sezione numismatica vi è poi una cospicua raccolta di monete normanno-sveve e un fondo di altre monete medievali.

Importanti sono poi le riproduzioni, di gran pregio per qualità e dimensioni, tra le quali spicca quella del mantello di Re Ruggero II, indossato nell'incoronazione.

​Il museo è stato ideato, allestito ed è curato dal Centro europeo di studi normanni.



Informazioni e prenotazioniCentro Europeo di Studi NormanniVia G. Marconi,2583031 Ariano Irpino (AV)Tel. (+39) 0825827952info@cesn.it



Se ti dirigi in Via Annunziata troverai un edificio cristiano. Si tratta della ex chiesa dell'Annunciazione e di Santa Lucia. In passato era punto di riferimento dei pellegrini e dei crociati che attraversavano l'antica via Sacra Longobardorum o via Vecchia o Via Francigena, Franchigena, Francisca o Romea. Questa era parte di un fascio di vie che dall'Europa occidentale, in particolare dalla Francia, conducevano a Roma e di qui proseguivano verso la Puglia, ove vi erano i porti d'imbarco per la Terrasanta. La via Vecchia in epoca alto-medievale collegava Benevento (capitale dell'omonimo principato longobardo) con il Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano.

Questo antico edificio di culto, oggi sconsacrato, fu realizzato intorno al 1375 e probabilmente in sostituzione di un edificio cristiano ancora più antico, visto che durante i lavori di restauro eseguiti a fine Novecento fu rinvenuta un'antica cripta munita di sedili sepolcrali.

Dal 1996 l'edificio religioso ospita il museo diocesano di Ariano Irpino e custodisce opere d'arte religiosa di varia tipologia (dipinti, tessuti, sculture, epigrafi, tabernacoli ecc.) e di epoca prevalentemente rinascimentale (a partire dal 1471) reperite nell'intero territorio della diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia, derivata nel 1986 dalla fusione della "diocesi di Ariano" (attestata fin dal X secolo) e della "diocesi di Lacedonia" (documentata dall'XI secolo). In questo modo la diocesi ha inteso evitare la dispersione e il deperimento del patrimonio storico-culturale ecclesiastico locale. 

Il museo è strutturato in modo tale da costituire un percorso espositivo lineare che si articola su più livelli. In particolare, nella sala al piano terra vi è l'esposizione dell'arte tessile, con i paramenti completi di stemmi episcopali. Lungo le scalinate si allineano le opere scultoree in marmo, mentre al piano superiore sono custoditi i dipinti su tela. Tra questi ultimi ti invito a soffermarti sulle numerose pitture del Seicento e Settecento di scuola napoletana, tra cui "l'Annunciazione" (primo quarto del XVII secolo) del pittore fiammingo Wenzel Cobergher, nato ad Anversa nel 1561 e morto a Bruxelles nel 1634. La raccolta museale è completata da altre opere lignee e marmoree provenienti dal convento di San Francesco d'Assisi e dalla chiesa di San Biagio, due antichi edifici religiosi cittadini non più esistenti.

Tra i preziosi oggetti liturgici e paramenti sacri ti evidenzio i seguenti.

Oltre al dipinto dell'"Annunciazione", il Museo conserva i seguenti pregevoli dipinti e sculture di spicco.

Ti consiglio, inoltre, di chiedere di visitare la suggestiva antica cripta, che si trova nel succorpo dell'edificio.


Interni del museo
L'Annunciazione

Ex Chiesa dell'Annunziata Via Annunziata Telefono 0825.871139
Apertura: 9,00 - 13,00 tutti i giorni anche la domenica 
Ingresso gratuito
Tabernacolo sec. XIX in marmi policromi 72x60 provenienza chiesa di Sant'Andrea (demolita) Ariano Irpino 
Pianeta del vescovo Francesco Capezzuti
Madonna con Bambino, sec. XVI-XVII olio su tela 106x84 provenienza chiesa di San Giacomo (demolita) Ariano Irpino 
Madonna del Carmelo, sec. XVII olio su tela 228x173 provenienza chiesa di San Biagio (demolita) Ariano Irpino 
San Domenico, sec. XVII olio su tela 186x125 provenienza chiesa di San Domenico (demolita) Ariano Irpino 
Martirio di Santo Stefano, sec. XVIII olio su tela 276x173 provenienza chiesa di Santo Stefano (demolita) Ariano Irpino 
Maria Maddalena ai piedi della croce sec. XVIII maiolica dipinta h. 140 cm. provenienza chiesa di San Francesco (demolita) Ariano Irpino 
Madonna con Bambino, Sant'Ignazio e San Filippo Neri, sec. XVIII-XIX olio su tela 210x159 provenienza chiesa Annunziata (demolita) Ariano Irpino 
Sant'Ottone, sec. XIX olio su tela 56x49 provenienza donazione famiglia Pisapia 



MUSEO DEGLI ARGENTI

Di recente apertura, presso la curia vescovile, con ingresso in Piazza Plebiscito, è il museo degli argenti, dove sono conservati oggetti d’arte sacra, tra cui: pastorali, calici, anelli episcopali, reliquiari e statue argentee di proprietà della Diocesi, databili dal 1600 al 1900, costituenti il Tesoro della Cattedrale.

Tra i preziosi oggetti liturgici ti evidenzio i seguenti.



Apertura: lunedì 9.30-12.30; martedì 9.30-12.30; mercoledì 9.30-12.30; giovedì 9.30-12.30; venerdì 9.30-12.30; sabato chiuso, domenica chiuso. Apertura/Chiusura annuale: sempre apertoCondizioni di visita: ingresso gratuitoex Seminario vescovile, piazza Plebiscito 13 83031 Ariano Irpino (AV)Telefono: 0825873200-0825871139www.diocesiarianolacedonia.itbeniecclesiasticiariano@tin.it
Calice di Sant'Elzeario
Ostensorio del Vannini
Reliquiario delle Sacre Spine
Reliquiario a busto di Sant'Ottone
Madonna del Parto, olio su tela 



MUSEO CIVICO E DELLA CERAMICA

Il Museo Civico e della Ceramica di Ariano Irpino, attuale vanto dei miei cittadini, nacque nel 1991 come Museo Civico, con lo scopo di ricordare e tramandare le tradizioni e la cultura di Ariano. Ha sede nel Palazzo Forte, dal nome dell’importante famiglia che lo abitò tra il ‘600 e la metà dell’800. Era originariamente una torre quattrocentesca inglobata nelle mura difensive della città; poi fu accorpata ad altri fabbricati adiacenti, divenendo una residenza signorile. Il palazzo fu acquistato nel 1858 dalla Provincia di Principato Ultra, che lo adibì a sede della Sottoprefettura di Ariano, e nel 1927 dal Comune. 

Le numerose donazioni di privati cittadini hanno consentito al Museo di arricchirsi sempre più di manufatti in ceramica e di caratterizzarsi come vero e proprio “Museo della Ceramica”. Anche la nascita delle Associazioni “Amici del Museo” e “Circoli Culturali” ha determinato lo sviluppo del Museo stesso, consentendo l’acquisto di importanti pezzi da privati o sul mercato antiquario, sottraendoli così a sicura dispersione. 

Attualmente la struttura ospita oltre 250 pezzi e una notevole quantità di frammenti che provengono da ritrovamenti casuali lungo le antiche mura della città. I reperti custoditi nelle sale espositive sono di uso domestico e ornamentale e sono principalmente terrecotte sannitiche dei secoli VI-V provenienti dalla Puglia centro-settentrionale e ulteriori manufatti risalenti ai secoli XVII e XVIII. 

Oltre al Maestro della donna addormentata e al Boccale a segreto con nudo femminile riverso (XVIII secolo), ti segnalo un'Acquasantiera con angeli in rilievo che sorreggono un ostensorio (XVII secolo), una Fiasca a forma di busto di donna (XIX secolo) e una Borraccia da pellegrino, con decorazione dell’aquila bicipide (XIX secolo). Molto belle sono anche le lucerne, dalle decorazioni e forme più svariate, assimilabili a busti fittili muliebri dedicati al culto di divinità femminili, le targhe devozionali, dedicate a santi locali, come san Liberatore o sant’Ottone, o santi particolarmente vicini alla popolazione, come santa Filomena martire. Di grande interesse sono poi le acquasantiere, a soggetto religioso, o le saliere, oggetti per le tavole più raffinate e per le famiglie più abbienti.

Un'altra sezione del Museo raccoglie edizioni a stampa rare e di pregio dei secoli XV e XVI, provenienti dai vari conventi cristiani del territorio arianese soppressi nell'Ottocento. Il nucleo più significativo è costituito da edizioni cinquecentine delle più note stamperie d'Italia e d'Europa; sono prevalentemente libri di argomento religioso, ma non mancano quelli riguardanti la filosofia, la storia, il diritto, la geografia e la medicina. Vi si trovano opere di Publio Virgilio Marone (Andes, 70 a.C. – Brindisi, 19 a.C.), Alessandro Alessandri (o d’Alessandro, come volle latinamente chiamarsi – Napoli, ca. 1461 – Roma, 1523), Jeronimo Nadal (Palma di Maiorca 1507 – Roma 1580) e Graziadio d’Ascoli (Palma di Maiorca 1507 – Roma 1580).

Sono inoltre allestite una fototeca civica dal 1865 al 1955 e una pinacoteca di arte moderna. 



Apertura ed orari: (feriali) 9.00 – 13.00 (festivi) 9.00 – 13.00 – chiuso il LunedìIngresso gratuitoE’ possibile, su prenotazione, effettuare visite, a pagamento, in orari diversi da quelli indicati. Palazzo Forte, via R. d'Afflitto 14 83031 Ariano Irpino (AV)Telefono: 0825875207museodellaceramica@libero.it
Ingresso del Museo Civico
Interno del Museo Civico



La valle del Fiume Miscano ha ospitato per millenni diverse civiltà, che hanno lasciato importanti tracce storiche del loro passaggio, che ancora oggi si rinvengono in diverse campagne di scavo e sono in parte esposte al Museo archeologico di Ariano Irpino, detto anche Antiquarium, ubicato nello storico Palazzo Anzani

Il museo espone diverse suppellettili del villaggio neolitico della località La Starza, tra cui:

Di epoca successiva sono invece i caratteristici forni per la lavorazione del bronzo e le ceramiche riferibili all'età del bronzo finale (XIII-X secolo a.C.). Peculiari di questa fase tarda sono inoltre le tazze con sopraelevazione a capocchia bilaterale oppure a caratteri zoomorfi di tipo paparella o corni di lumaca. Numerosi sono poi gli arnesi di selce a conferma della fiorente industria litica praticata a La Starza.

Nel museo è inoltre possibile ammirare reperti provenienti da altri comuni del comprensorio. Notevoli sono soprattutto i corredi funerari rinvenuti in un insediamento sannitico, nel territorio comunale di Casalbore, nonché i resti di un tempio italico del III secolo a.C. individuato in località Macchia Porcara sempre nel comune di Casalbore, lungo il tratturo Pescasseroli-Candela. Tra gli svariati materiali esposti ti segnalo le ceramiche, i bronzi, le fibule (spille) d'argento (importate dall'Etruria) e il vasellame di bucchero (ceramica nera e lucida proveniente dalla pianura campana).

Sono poi esposti i cospicui reperti di epoca romana, rinvenuti nel vicus di Aequum Tuticum, cardo viarum all'incrocio fra le vie Herculea e Traiana, su uno dei miei altipiani, meglio noto con il nome di Sant'Eleuterio. In particolare potrai osservare monete, utensili in bronzo, vetro e ceramica, oltre ai cippi viari, uno dei quali riporta il nome del console Marco Emilio Lepido, mentre l'altro è relativo alla via Herculea con la indicazione in miglia romane della distanza da Aufidena (attuale Alfedena in Abruzzo) e Aequum Tuticum.


Ingresso: gratuito Giorni e orario apertura: Lunedì-Sabato 9.00-13.00; Domenica visitabile su richiesta prenotando al +39 0825 824839; Prenotazione: Obbligatoria (Telefono: Domenica visitabile su richiesta prenotando al +39 0825 824839) Comune: Ariano Irpino Indirizzo: via Donato Anzani, 8 CAP: 83031 Provincia: AV Regione: Campania Telefono: +39 0825 824839 Fax: +39 0825 824839  
Vista dall'alto dell'ingresso del Museo Archeologico
Sala interna del Museo Archeologico



Tra le eccellenze del mio territorio, posso vantarmi di ospitare anche un istituto di ricerca scientifica di Biologia e Genetica Molecolare, denominato BioGeM

Il centro, che opera nell'ambito della ricerca genetica e biotecnologica nel campo umano, animale e vegetale, è il frutto di una società consortile a responsabilità limitata costituita fra l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, l'Università degli Studi di Udine, la LUMSA di Roma, l'Università del Sannio, l'Università di Foggia, l'Università Federico II di Napoli, la Seconda Università di Napoli, l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, il CNR, la Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli, il Consorzio per l’area di ricerca di Trieste, la Camera di commercio di Avellino e la Comunità montana dell'Ufita.

Accanto a Tigem e Ceinge, Biogem costituisce uno dei tre centri di ricerca biologica no-profit esistenti in Campania; inoltre, unitamente al CNR, al Ceinge, all'Università di Salerno, all'Università del Sannio, alla Federico II e alla Seconda Università di Napoli, Biogem è parte integrante di Campania Bioscience, il distretto regionale operante nei settori delle biotecnologie e delle scienze della salute.

I presupposti per la creazione di questo polo di ricerca genetica si delinearono nel 1997 e oggi deve gran parte del suo successo all'afflusso di cospicui fondi regionali per lo sviluppo. Fu inaugurato nel 2006 alla presenza del premio Nobel per la medicina Rita Levi-Montalcini. Dal 2013 Biogem ha anche un Laboratorio di genetica forense.

All'interno del centro di ricerca è presente uno spazio museale, chiamato Biogeo, dedicato ai primordi della storia geologica (dall'era precambriana al periodo giurassico). Fondato in collaborazione con l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, il museo tenta di illustrare l'origine e lo sviluppo della vita sulla Terra, con particolare riguardo al rapporto tra genoma͵ ambiente ed evoluzione. 

A partire dal 2012 Biogeo si è dotato di una quadrisfera, progettata dal fisico italiano Paco Lanciano. Essa rappresenta la prima tappa del percorso museale e coinvolge il visitatore in un suggestivo percorso visivo della durata di 10 minuti. Una multiproiezione di 4 filmati sincronizzati ti renderà partecipe, grazie ad un caleidoscopico gioco di monitor e specchi, della straordinaria avventura della vita sulla terra.

Successivamente puoi visitare la Piramide Multimediale, che consente di visualizzare Filmati in 3D che illustrano aspetti specifici della dinamica terrestre e della nascita della vita sulla terra.

Vi è poi una sala con sedici poltrone che consente di assistere a proiezioni in 3D di filmati scientifico-divulgativi, con sistemi di diretto coinvolgimento degli spettatori, tant'è che è denominata anche sala multimediale 7D.

Per gli amanti dei dinosauri vi è poi lo scheletro di Allosauro e TRex.

Infine puoi osservare i vari reperti paleontologici che testimoniano il succedersi delle ere geologiche, disposti in suggestive ambientazioni. 



Orari di apertura (a richiesta si effettuano visite guidate per comitive e scolaresche)Mercoledì-Venerdì10,00 - 13,00 / 15,00 - 17,00Sabato - Domenica: su prenotazione per comitiveDirettrice: Antonella FierroPrenotazione Visite:Tel: +39-0825-881842 - 881811Fax: +39-0825-881812Mail: biogem@biogem.itMODULO PRENOTAZIONE VISITA GUIDATA

Scheletro di dinosauro

Fossile esposto




Nei pressi del Castello Normanno puoi goderti l'ombra degli alberi secolari impiantati nella villa comunale, ubicata dove una volta vi erano i fossati, le ripe e i contrafforti che cingevano il maniero. Quando il castello fu definitivamente abbandonato, al termine delle grandi guerre d'Italia del XVI secolo, le aree circostanti furono rimaneggiate e destinate ad uso civico. Inizialmente furono impiegate per il pascolo e, nel 1838, alcuni terreni alle falde orientali del maniero furono riservate alla realizzazione del cimitero comunale. Fu così che quest'ultima area fu spianata e alberata con un lungo filare di tigli, anche se poi l'idea di impiantarvi un cimitero fu abbandonata. Dopo l'unità d'Italia, infatti, si tentò di trasformare l'area precedentemente destinata a cimitero in un impianto di tiro a segno; tuttavia l'esigenza di creare un giardino pubblico fu ritenuta prioritaria, così nacque l'attuale villa comunale, i cui lavori procedettero speditamente fino all'ottobre del 1876 quando fu aperto al pubblico il primo lotto, dotato di fontana, peschiera e tavernetta, ancora poco esteso, ma riparato dai venti occidentali e con vista sui monti della Daunia, che segnano  il confine con la Puglia. 

Il giardino originario ottocentesco costituisce il livello inferiore dell'attuale villa e contiene ancora oggi gli alberi più imponenti e in particolare gli undici esemplari di cedri appartenenti a tre diverse specie: otto cedri dell'Himalaia, due cedri dell'Atlante e l'unico, vetusto esemplare di cedro del Libano. Fra le altre specie arboree presenti puoi trovare i grandi platani, riconoscibili dalla tipica corteccia chiara, e le magnolie dai vistosi fiori bianchi, mentre tra le siepi predominano gli allori, i laurocerasi, gli agazzini dai rametti spinosi e dai frutti gialli e rossi e i viburni, questi ultimi distinguibili dal fogliame scuro, dalla fioritura assai precoce e dai frutticini color viola intenso.

Sulla sinistra della peschiera vi è il chiosco Rubino, alimentato da una sorgente del castello, attraverso un cunicolo sotterraneo, che, a causa di recenti cedimenti, consente di portare la sola acqua piovana quando c'è maltempo. 

Viale alberato
Fontana

Altri lotti furono aggiunti dopo il 1800, grazie anche a intensi lavori di livellamento dei terreni. 

L'opera di ampliamento si concluse nel 1912, quando la villa era ancora meta di greggi in cerca di pascolo. Solo nel 1938 i diritti di pascolo pubblico sulle terre della villa comunale furono dichiarati ufficialmente estinti e l'intero colle del castello fu destinato esclusivamente a giardino pubblico. Dal colle del giardino pubblico oggi puoi goderti la veduta panoramica.

All'ingresso della villa comunale vi è il busto bronzeo, eseguito da A. Balzico, del sacerdote-poeta Pietro Paolo Parzanese, qui trasferito dalla centrale piazza Plebiscito in epoca fascista. 

Pietro Paolo Parzanese nacque nelle mie terre nel novembre 1809 e visse quasi tutta la sua vita sul Tricolle, dove svolse la sua attività di sacerdote e di insegnante di letteratura e di teologia nel seminario vescovile. Si recava abbastanza spesso a Napoli, dove ebbe contatti con i circoli letterari della capitale e dove morì per un'affezione tifoidea a soli 42 anni. 

Fu uno dei maggiori poeti dell’800 del Sud Italia. 

Poeta dell'amore e della natura, di animo sensibile, Parzanese trovò tra gli umili, i contadini in genere, la sua maggiore fonte d’ispirazione. Per questo fu chiamato anche il “poeta dei poveri”. 

Tra i suoi scritti ti invito a leggere "Le armonie italiane", "I Canti del Viggianese", "I Canti del Povero" ed infine le canzoni "Fiori e stelle" scritte tra il 1843 ed il 1851. 

Nell'area del Piano della Croce  (in origine detta Croce del Castello), un poggio ubicato lungo il versante sud del maniero, dov'è situato il primo ingresso della villa, quello ottocentesco che ti porta sul viale dei tigli, puoi ammirare un'antica croce in stile longobardo, poggiante su di una colonna di marmo risalente probabilmente all'età classica.

Sul versante nord non può sfuggire all'occhio attento la stazione meteorologica di Ariano Irpino.

Gli antistanti viali della villa comunale sono adornati da un lapidario composto da molte decine di reperti archeologici e antiche iscrizioni provenienti dal vicus romano di Aequum Tuticum.

Oggi la villa comunale si articola su due livelli, raccordati da un ampio viale di ippocastani e da una serie di rampe pedestri. Il livello superiore si sviluppa a stretto contatto con il castello, cinto da un viale alberato a circuito; i lati meridionali, ornati da lunghi filari di lecci (e da un gruppo di pini domestici attorno al busto di Pietro Paolo Parzanese), sporgono su una scarpata rivestita di ginestre e iperici. Sul lato nord si apre un ampio pianoro (anticamente detto Piano dei preti), dotato di un campo da tennis, mentre nella sottostante area dei Pàsteni vi è un boschetto con vegetazione mista, composta in prevalenza da aceri montani e dai sempreverdi cedri della California, dotato di un'area attrezzata per escursionisti e di un parco giochi, cinto da aiuole fiorite. Alle spalle del campo da tennis vi è un duplice filare di ippocastani a piantata fitta che costituisce il settore più fresco dell'intero parco.

Gli effluvi balsamici e le essenze resinose della vegetazione impiantata nella villa, per il passato, sono stati richiamo medicamentoso per i bimbi che soffrivano di pertosse e per quelli affetti da malattie respiratorie. 




IL CAMMINO DELL'ARCANGELO

Sull'asse viario della Via Appia Traiana, a Benevento, si innesta un suggestivo cammino, detto Via dell'Arcangelo, o Via dell'Angelo, o Via Micaelica, meta antichissima di pellegrinaggi da tutta l'Europa cristiana longobarda e germanica, che attraversa per qualche chilometro anche le mie terre.

La Via Micaelica è l’unica che ha come meta un Santuario del Sud, San Michele a Monte Sant’ Angelo sul Gargano. 

Ma come nasce questa antica e suggestiva strada?

Il Santuario di San Michele a Monte Sant'Angelo sul Gargano, già a partire dal V-VI secolo, era meta di pellegrinaggi di gente di ogni condizione ed estrazione sociale. Tra il VI e IX secolo il Santuario visse un periodo di particolare splendore, come attestato dalle iscrizioni (circa 200 incise o graffite nella parte più antica del complesso, tra cui almeno cinque in carattere runico). Durante il medioevo continuarono a percorrere le vie impervie e i tratturi del Gargano pellegrini provenienti da ogni parte d’Italia, ma anche longobardi, ispanici, franchi, inglesi e sassoni, i quali lasciarono i segni della propria presenza sui muri della grotta e trasformarono il pellegrinaggio al Gargano da fenomeno locale o italico in fenomeno di ampiezza e rilevanza europea, facendo dell’internazionalità il suo segno distintivo. 

Il delinearsi della Via Micaelica, come strada più frequentata del “peregrinare a livello europeo”, può essere datata intorno al 708, quando sul Monte Tumba, in Normandia, venne fondato il Santuario di “Saint Michel au peril de la mèr”, su reliquie fatte prelevare dal Gargano dal Vescovo Oberto e fatto costruire su imitazione del Santuario italiano. 

A partire dal X secolo venne costruita sul Monte Pirchiriano, in Val di Susa, la Sacra di San Michele, a metà strada tra Normandia e Gargano, come il terzo grande luogo di culto dell’Angelo in occidente. 

Fu così che iniziò a delinearsi il percorso della Via che vede come tappe più importanti Mont Saint Michel–Le Puy en Velay–Sacra di San Michele in Val di Susa-Roma– Benevento-Monte Sant’ Angelo sul Gargano

L’itinerario si sviluppa:

La nuova destinazione d'uso della Via Appia e della Via Traiana, utilizzate dai pellegrini franchi per raggiugere il Santuario Garganico, considerato come meta finale o come tappa intermedia prima di imbarcarsi per la Terra Santa, fece mutare il loro nome in Via Francigena.

Il viandante che, senza rinunciare alla tecnologia e al progresso scientifico, cerca di colmare dei vuoti della sua spiritualità, riscoprendo le antiche vie di pellegrinaggio, un tempo molto frequentate, può cogliere l'occasione di riavvicinarsi alla natura e di riscoprirla, attraversando tratti della antica Via Appia Traiana che solcano il mio territorio, che con il tempo sono state frequentate dai pellegrini in marcia per il Monte Sant'Angelo sul Gargano, in quel santo cammino dell'arcangelo




L'itinerario pedonale è lungo circa 27.000 m, è ad altissima difficoltà e richiede all'incirca 9 ore di viaggio, soste escluse lungo i punti di interesse.  


In alternativa all'itinerario pedonale vi è quello carrabile, lungo sempre 27 km, che però non segue in maniera fedele l'antico cammino dell'arcangelo, ma consente comunque di raggiungere i luoghi più suggestivi, mediante brevi soste e piccole tratte da percorrere a piedi. La durata del viaggio, se si mantiene un'andatura media di 30 km/h, è di circa 50 min, soste escluse lungo i punti di interesse.









Attraversamento del Fiume Miscano in località Cristina

Uno dei tratti panoramici del Tratturo

Masseria tre Fontane














Sito archeologico Aequum Tuticum
























Sito archeologico La Starza







Per visitare i siti archeologici di Aequum Tuticum e di La starza, contattare almeno con un giorno di anticipo il Ministero per i beni e le attività culturali presso il Museo Archeologico di Ariano Irpino o telefonare al 0825 824839 



CATTEDRALE DI SANTA MARIA ASSUNTA

I miei cittadini la edificarono sugli antichi ruderi del tempio di Apollo, intorno alla metà del X secolo. La Cattedrale svolse immediatamente un ruolo preminente nel centro abitato.

Gli ampi spazi che si aprivano intorno a essa divennero ben presto il fulcro dinamico della vita cittadina. Si tenevano i mercati settimanali e fiere annuali e ci si riuniva per dibattere e discutere le problematiche locali.

Il tessuto urbano arianese non tardò a radicasi tutto attorno e sorsero botteghe, negozi, fucine artigiane, filande e tintorie. La città cominciò ad espandersi lungo le attuali vie D'Afflitto, S. Angelo, S. Nicola, mentre una ulteriore espansione urbana prendeva le mosse dai piedi del castello fino a creare le contrade di Santo Stefano, del Sambuco e della Guardia.

I terremoti e i saccheggi non risparmiarono il sacro edificio, che nel tempo è stato più volte ricostruito. L'ultima ed ennesima riapertura al pubblico risale al 1982, dopo il restauro post-sismico del 1980.

Veduta prospettica della cattedrale dell'Assunta

La facciata è in stile romanico a capanna e risale alla ricostruzione del 1500 su disposizione del vescovo De Hippolitis. Fu utilizzata per l'occasione la pietra arenacea verde di Roseto. I rosoni, a differenza dei portali, sono postumi.

Sulle porte fanno da corona gli stemmi del De Hippolitis (due bande con tre api), mentre nella cornice, procedendo da destra a sinistra, quelli di Carafa, Carafa-Orsini e Carafa senza Orsini. Sul timpano quelli dei vescovi Bonilla, Carafa, Carafa-Orsini ed in ultimo lo stemma della città.

Alla cattedrale si accede tramite un cancello in ferro battuto, sormontato dalle iniziali del vescovo Russo. 

Sul fianco della scalinata l'occhio attento del visitatore può notare un campione di unità di misura in pietra datato 1491. Varcato il primo ingresso, si notano sul pannello della porta in bronzo quattro grossi medaglioni, fatti collocare dal vescovo D'Agostino nel 1911, raffiguranti i Santi patroni della città.

I portali, architravati, sono sormontati da nicchie con altorilievi, al centro della Vergine Assunta, alla quale è dedicata la Cattedrale, a destra di S. Ottone e a sinistra di S. Elziario.

Il timpano oggi si mostra palesemente incompleto perché fu abbassato a seguito del restauro eseguito dopo il terremoto del 1732, perdendo così il primitivo motivo architettonico.

Oltre al campanile, alle spalle della cattedrale e comunicante con essa, vi è la residenza vescovile.

Interno della cattedrale dell'Assunta

La struttura interna è in stile barocco ed ha una pianta a croce latina, ricostruita in seguito al terremoto del 1732. Si sviluppa su tre navate, che terminano verso il presbiterio a croce latina. Le volte sono a crociera ed ospitano, in ricche cornici di stucco, le tele di Saverio Persico, raffiguranti i dodici Apostoli.

Entrando, sulla sinistra, non può sfuggirti il Battistero. Il fonte battesimale, in pietra, è ad immersione. Fu fatto trasportare dal vescovo Meinardo de Poitiers, con la partecipazione attiva della cittadinanza, dalla chiesa di S. Ermolao martire nell'anno 1070, come traspare dall'iscrizione apposta in caratteri medievali su una delle facce della vasca. L'iscrizione presenta delle manipolazioni, dovuta ai vari restauri, con l'aggiunta dell'anno, inciso posteriormente in cifre arabiche. 

"QUESTO SACRO FONTE QUI PER LA PRATICA DEL BATTESIMO 

A QUESTA SACRA AULA FECE TRASFERIRE

II. VESCOVO MAINARDO NATO A POITIERS

DISCENDENTE DA ILLUSTRI GENITORI

PORTANDOLO DALLA CHIESA DELL'ALMO MARTIRE ERMOLAO

SOCCORRENDOLO L'IMPEGNO PIETOSO DI NOBILI CITTADINI

CHE SOTTOPONENDO IL COLLO SOTTO I GIOGHI QUASI A MO' DI BUOI

TRASCINARONO QUESTO FONTE

SOTTO L'AMORE DELLA NOSTRA (PROTETTR.) MARIA

NELL'ANNO DEL SIGNORE 1070"​

La vasca, data la struttura, è molto più antica. Essa risale al 1585. E' sormontata da un arco, che faceva parte dell'altare dedicato a S. Ottone e fatto erigere dai cittadini nel 1585. E' stato adattato sul battistero intorno al XIX secolo. La vasca, in marmo bianco, venne fatta cesellare dai marmorari beneventani all'inizio del 1600, su commissione del vescovo Ridolfi. L'arco nel suo insieme, si apre con scene favolistiche, con richiami mitologici esprimentisi in simboli pagano-cristiani, con immagini di animali in volute a spirali, sinuose e sigmatiche, che si snodano e s'intrecciano con il fogliame, in un movimento continuo e convulso.

Procedendo sempre sulla sinistra si incontrano:

Sulla destra entrando, oltrepassato il bel Crocifisso, si incontra:

In fondo alla navata destra è situata la Cappella di S. Ottone.

Nell'abside, sul frontone del coro ligneo, si può ammirare la tela dell'Assunzione di Maria Vergine al cielo, opera di fra Tommaso da Vasto, su commissione del Vescovo Tipaldi nel 1745.

Fra le tante opere degne di rilievo vi sono:

Nella tesoreria sono conservati reliquiari di pregiata e raffinata fattura e nella curia il quadro dell'Annunciazione del pittore fiammingo Wensel Cobergher, opera del 1950.


P.zza Duomo83031 Ariano IrpinoTel. 0825/827240




SANTUARIO DELLA MADONNA DI VALLELUOGO

In una piccola, silenziosa valletta situata tra le colline che separano le mie terre da quelle di Montecalvo, in provincia di Avellino, nel tardo medioevo, all'epoca della dominazione angioina, la Madonna apparve ad una giovanissima pastorella, figlia del mugnaio del luogo, proprio nei pressi del mulino di famiglia edificato presso il torrente che solcava il fondo della valle, ora ridotto a piccolo ruscello. Fu quella un’apparizione profetica, perché Maria Santissima si presentò come l’Immacolata Concezione ancor prima che la Chiesa ne ufficializzasse il dogma. La Madonna, nel momento stesso dell'apparizione, fece acquisire alla fanciulla l'udito e la parola e le chiese di comunicare alla comunità locale di edificare in quel posto una cappella in suo onore. La guarigione prodigiosa della bambina dette subito un carattere di autenticità all’apparizione mariana e tutta la gente della contrada, che allora viveva in grotte, fece a gara per portare da Ariano le pietre per la costruzione del Santuario.

In una prima fase ci si limitò ad allestire un semplice tabernacolo ma, in considerazione dell'afflusso sempre maggiore di fedeli, delle guarigioni via via più numerose e delle laute offerte spontanee si riuscì finalmente a edificare la cappella richiesta, sebbene l'anno esatto di costruzione rimanga ancora oggi ignoto. Quel che si sa, invece, è che l'edificio venne danneggiato da una lunga serie di terremoti verificatisi tra il 1688 e il 1732 e soltanto alla fine del Settecento, dopo lunghe vicissitudini, venne eretta, in stile barocco, la chiesuola attuale.

Inizialmente il santuario era assai frequentato durante l'intero corso dell'anno. A partire dall'Ottocento gli afflussi, sempre piuttosto intensi e provenienti anche da fuori diocesi, iniziarono a concentrarsi nel triduo di Pentecoste.

Dopo secoli di abbandono, il Santuario, con la casa ed il terreno circostante, venne acquistato, negli anni cinquanta, da mons. Luigi Novarese, che con l’approvazione episcopale di mons. Venezia, vescovo di Ariano Irpino, fece del complesso la Casa Madre della nascente Pia Unione Silenziosi Operai della Croce e delle consociazioni Centro Volontari della Sofferenza e Lega sacerdotale Mariana.

Il Santuario della Madonna di Valleluogo,  originariamente noto come Santuario Sancta Maria belli loci  (letteralmente Santa Maria del bel luogo), si è arricchita di altri due complessi per la riabilitazione dei disabili e gli esercizi spirituali che sono il momento forte del Centro Volontari della Sofferenza.     

Vista del Santuario della Madonna di Valleluogo circondato da alberi secolari

Interno della Chiesetta in stile barocco

Paesaggio nel contesto del Santuario

Ecco perché recentemente il complesso è stato ribattezzato Santuario Salus Infirmorum, ossia "Salute degli Infermi". 

Chi ha bisogno di respirare con la preghiera, la meditazione e la contemplazione la Presenza di Dio, a Valleluogo, autentica clinica dello Spirito, trova la quiete, la pace, il clima ideale per un contatto con lo Spirito di Dio. La Chiesa conserva ancora al suo interno una statua della Madonna risalente al Quattrocento,  l'antico mulino è stato ristrutturato ed è possibile accedere al piccolo ruscello che lo alimenta.



Silenziosi Operai della Croce Contrada Valleluogo 26 83031 Ariano Irpino (Av) Tel. (+39) 0825-871417 Fax (+39) 0825-872552 E-mail: valleluogo@sodcvs.org 





I miei eventi


Quando Federico II morì il 13 dicembre 1250, il figliastro Manfredi prese le redini del Regno per fronteggiare con immediatezza le aspirazioni papali sul Regno. Diverse città, tra cui Napoli, Capua, Aquino, Nocera, seguite da Troia e dalla stessa Ariano, offrirono sudditanza al Papa e furono affrontate da Manfredi.

La morte del Papa a Napoli interruppe l’azione delle truppe pontificie ed il Cardinal Legato e gli altri nipoti del Papa, con le truppe si portarono subito in Napoli, lasciando i miei cittadini soli a difendersi dalle truppe imperiali. Resistetti bene anche grazie alla mia posizione ben difendibile, per cui Federico Lancia (zio di Manfredi) e comandante delle truppe assedianti, decise di prenderla con l’inganno: mandò da me dei Saraceni travestiti da fuoriusciti della vicina Lucera, con l’offerta di coadiuvare gli arianesi nella difesa della città ed ottenne il loro ingresso tra le mura. Sorprese così i difensori di notte facendone strage. Fui completamente distrutta ed i pochi sopravvissuti furono costretti ad andare fuori dal teritorio della città.

Nel 1262 Papa Urbano IV invitò Manfredi a comparire innanzi a lui per giustificarsi su quanto accaduto nelle mie terre. Non riuscendo a superare la resistenza di Manfredi, il Papa chiese due anni più tardi l’intervento di Luigi IX, che rifiutò lasciando che fosse il fratello Carlo d’Angiò ad intervenire.

Il 26 febbraio 1266 Manfredi riunì i suoi fedeli nei pressi di Benevento ed affrontò le truppe di Carlo d’Angiò. Resistette fino alla morte con i suoi Saraceni. A lui subentrò Corradino di Svevia, che nel 1268 fu catturato a seguito della battaglia di Tagliacozzo e decapitato il 29 ottobre dello stesso anno a Napoli in località Campo Morticino (attuale piazza del mercato).

Nel 1269 Carlo d'Angiò, passando per la distrutta città di Ariano e commiserando le sue rovine, desiderò riedificarla a spese regie e iniziò a far costruire la Cattedrale, con grosse mura, e a far rifare il castello.

Anche se non è stato trovato alcun documento che dimostri l'avvenuta consegna, si ritiene che in quella occasione Carlo d'Angiò donasse al vescovo Pellegrino due Spine della Corona di Cristo, quale premio per la fedeltà dimostrata dai miei cittadini alla causa del Papa e per la distruzione patita.

Secondo una versione più leggendaria le Sante Spine furono portate ad Ariano da un pellegrino proveniente dalla Terra Santa, che dopo aver sostato nelle mie terre, non riusciva proseguire il suo viaggio, a causa di una forza misteriosa che lo costringeva a trattenersi. Il pellegrino portava nascosto gelosamente custodito nella bisaccia un prezioso deposito di tre Sante Spine. Quando decise di condivise questo suo segreto con il Vescovo di Ariano, non fu creduto e si stabilì di provarne l’autenticità sottoponendo le presunte reliquie alla prova del fuoco. Due Spine rimasero intatte, mentre la terza si bruciò. Da allora le Spine furono portate trionfalmente nella cattedrale e custodite con venerazione dalla chiesa arianese.

Oggi di spine sacre venerate se ne contano a centinaia. Monsignor Giovan Battista Alfano, nella sua opera “Sante Spine della Corona di Nostro Signore Gesù Cristo”, del 1932, ne ha citate 110, presenti nelle sole chiese italiane.

Le due spine di Ariano, lunghe rispettivamente 6 cm e 5,5 cm, sono dure, di colore avorio, eccetto la punta che è nera, sono conservate in due ampolle di cristallo, incastonate in un reliquiario argenteo di probabile manifattura di maestri argentieri napoletani. È una meravigliosa scultura argentea, decorata con gigli di Francia. La struttura inferiore ogivale è sostenuta da due angeli e l’altorilievo dell’ecce-Homo, oltre allo stemma della città di Ariano. Colpiscono per la bellezza anche le immagini dei Santi Patroni Elzeario e Beata Delfina. Il reliquiario presenta delle analogie stilistiche con le guglie della Sainte Chapelle di Parigi.

Il mio popolo ha sempre custodito una forte devozione per queste reliquie e sin dalla loro donazione, nel medioevo, processioni penitenziali dalle contrade e dal santuario di S. Liberatore, venivano compiute con il capo coperto da corone di edera e di biancospino, soprattutto in tempo di calamità, di prolungata siccità o di abbondanti piogge. Si giungeva in cattedrale, dove erano esposte le Sante Spine e si invocava ristoro e beneficio.

Tra le laudi e canti religiosi ricordo il seguente frammento:

Spina pungente

ca pungisti lu miu Signore

Pungimi stu core

E pirdona lu piccatore.

Pirdona mio Dio

Perdona pi pietà e

Lu dono ca fece Cristo a

La santissima Trinità.

Anche il poeta sacerdote Pietro Paolo Parzanese, mio illustre cittadino, dedicò con devozione alcune liriche alle venerate reliquie.

Ricordo il seguente panegirico.

"Ariano mia culla, e, se il ciel mel concede, mia sepoltura, esulta di santo gaudio, e di celeste sorriso ti allegra. Balzino per letizia, come sciolti arieti, i tuoi colli, le tue valli echeggino di festivi clamori. Padre dei cieli, il tuo popolo invoca; egli t’offre in olocausto queste spine tinte nel sangue del tuo Figlio, e sarà lieto, se ascolterà queste voci intuonate altra volta per Osea: Soepiam vias tuas spinis, et sponsabo te mihi in sempiternum". (Panegirico s. Spine, 1832).

Ricordo anche il seguente sonetto. 

Le Sante Spine

Lasciando il trono ove sedesti eterno,

Venia vestito dell’umana spoglia,

E l’alte porte a debellar l’inferno

provò d’acerba morte immensa doglia.

Fero dal capo Santo aspro governo

Acute Spine, e a lacrimar ne invoglia,

Vedendole calcar sul capo a scherno,

Da chi già l’alma di pietade spoglia.

Ei ebbe un dì la fronte redimìta

E una mortale angoscia il cor prendea

Entro la Spoglia lacera ed attrita.

Ma a noi fu gaudio il suo dolor atroce.

Vinse soffrendo, e a noi l’alma si bea

Nel poter della spina e della Croce.

(Ms. di Parzanese, in Archivio Museo Civico di Ariano).

Ai giorni d’oggi, ogni anno, l’11, 12 e 13 agosto, frammista a un programma religioso intriso di processioni e momenti forti di preghiera, la rievocazione del dono delle sante Spine si ripete ogni volta articolandosi in maniera diversa in un ricco programma di eventi civici. 


Momento della rievocazione storica del dono delle Sante Spine con figuranti vestiti con abiti d'epoca




ARIANO INTERNATION FILM FESTIVAL

L'idea di un festival del cinema, che avesse dimora nella splendida e suggestiva cornice delle mie terre, nasce dalla tenacia e dalla intraprendenza di un gruppo di amici, che hanno sempre creduto e credono fermamente nell'apporto fondamentale che l'arte cinematografica, al pari delle altre, reca alla formazione culturale dell'uomo, non come singolo individuo, ma come soggetto attivo di emancipazione e progresso della società. L'Associazione Rai.Co., con sede nella mia Città, ha ideato l’Ariano International film festival con lo scopo di valorizzare l’arte cinematografica in tutte le sue espressioni e modalità stilistiche.

Sul sito ufficiale del festival si legge che il cinema va “inteso come arte figurativa, non è soltanto la sequenza filmica di eventi, storie e fatti della vita umana, ma è anche e soprattutto l'incedere della macchina da presa nelle pulsioni e nei sentimenti del cuore umano, riflettendone le più recondite aspirazioni e tensioni ideali, a guisa di uno scultore che da una pietra grezza e informe da' vita a un'opera d'arte”.

L'Ariano International Film Festival ha, dunque, l'ambizione di essere il crogiuolo di speranze, angosce, sogni e avventure dell'umano agire, dai quali possa emergere, palpitante, e con rinnovata consapevolezza, l'intima verità dell'essere vivi "Qui e Ora".

Il festival promuove la cultura cinematografica, attraverso le due modalità formalmente riconosciute come strumenti di emancipazione e competizione tra popoli e nazioni nel campo delle arti figurative, ossia:

·       proiezioni di Opere cinematografiche a carattere di intrattenimento, divulgativo-scientifico e d’animazione;

·       occasioni d’incontro e di mutuo sostegno tra i vari operatori del settore cinematografico.

Il Festival include rassegne e premi a personalità di rilievo in campo artistico, sociale e culturale, quale contributo a una migliore conoscenza della storia del cinema italiano e internazionale. Le premiazioni avvengono durante le giornate del festival, che si tengono nel periodo estivo e in genere a cavallo tra luglio e agosto. 



ASSOCIAZIONE RAI.CO.rai.co@pec.itINFORMAZIONI PER CONCORSO FILM
ASSISTENZAassistenza@arianofilmfestival.comASSISTENZA PER CONCORSO FILM
PRESSpress@arianofilmfestival.com
AMMINISTRAZIONEamministrazione@arianofilmfestival.com
PHOTOCONTESTphotocontest@arianofilmfestival.comINFORMAZIONI E ASSISTENZA PER CONCORSO FOTOGRAFIA 
COSPLAYcosplay@arianofilmfestival.comINFORMAZIONI E ASSISTENZA PER CONCORSO COSPLAY  

Momento dell'Ariano international film festival




Ariano Folkfestival è un progetto etno-culturale che nasce nel 1996 come semplice festa popolare, su iniziativa di miei giovani cittadini, ma col tempo ha acquisito i tratti di un vero e proprio festival dedicato alla world music. In oltre venti anni ha ospitato i maggiori esponenti della world, folk e gypsy music di tutto il mondo diventando, tra gli eventi dedicati a questi generi musicali, un punto di riferimento nei paesi dell’Europa e del Mediterraneo. Nel tempo il Folkfestival si è arricchito di moltissime iniziative collaterali, trasformando Ariano Irpino in un luogo di incontro fra diversi popoli e culture, esaltandone la sua tradizionale ospitalità.

La rassegna di musica folk si articola in due sessioni: la prima ad agosto, l'altra al coperto fra dicembre e gennaio.


Ariano Folkfestival83031 Ariano Irpino (Italy)info@arianofolkfestival.it 




Ogni anno il Centro di ricerche BIOGEM organizza nella prima decade di settembre il meeting Le due culture, con cui si propone di raggiungere un punto d'incontro tra le “due culture”, da una parte il sapere umanistico e dall’altra quello scientifico. Vi prendono parte ogni anno insigni studiosi e premi Nobel, che si confrontano sui temi fondamentali della ricerca scientifica: non solo scienziati e medici, ma anche esponenti della cultura umanistica come filosofi, teologi, intellettuali e politici.

In ogni meeting, che dura diverse giornate, si susseguiranno dibattiti, tavole rotonde, convegni, incontri con il pubblico e presentazioni di libri. Un’incredibile fucina di proposte e di attività che negli anni ha permesso all’iniziativa di acquisire un’importante dimensione nel panorama culturale sia nazionale che internazionale. 


Biogem S.c.a.r.l.Via Camporeale Area P.I.P.Ariano Irpino (AV) ItalyPh. +39 0825 881811 Fax +39 0825 881812www.biogem.it - biogem@biogem.it 




I miei prodotti


Grazie all'abbondanza di fonti sorgive perenni, di legna combustibile e di argille assai fini, gli abitanti delle mie terre fin dall'età del Bronzo medio (XVI-XIV secolo a.C.) hanno avviato una produzione assai svariata di ceramica, dapprima grezza e poi ornata con incisioni e decorazioni. 

Frammenti di coppette medievali, risalenti al XII-XIII secolo sono state ritrovate nelle discariche a cielo aperto, nei pressi del castello, o nella zona di Aequum Tuticum. Sono manufatti così detti "protomaiolici" e risentivano degli influssi arabi, dovuti alla presenza di artigiani islamici, giunti ad Ariano al seguito di Ruggero II il Normanno, o provenienti dalla vicina Lucera. 

Nel XIV secolo la produzione di ceramiche artistiche era legata al nome di tre maestri: Giovanni de Paulo de Milotta (o Bilotta), Vincenzo de Vitto e Vincenzo Marraffino.  

Le ceramiche arianesi risentirono dell'influsso arabo fino alla prima metà del XV secolo. Nel 1421 il conte di Ariano e futuro duca di Milano, Francesco Sforza, portò nella mia città dei maestri faentini e artigiani tranesi. Questi si insediarono in un quartiere rupestre, dove impiantarono diverse fornaci per la lavorazione della ceramica. Qui iniziarono a produrre i famosi bianchi faentini, che poi trovarono ampia diffusione in diverse botteghe italiane un secolo più tardi: erano maioliche smaltate di bianco e decorate con sintetici elementi in azzurro. I ceramisti che adottavano tale tecnica di decorazione erano definiti faenzari, a differenza dei semplici roagnari o pignatari, che si limitavano a produzioni massive di terrecotte senza velleità artistiche. 

La ceramica arianese, però, iniziò a delineare le sue peculiari cadenze stilistiche nel XVII e XVIII secolo, allorquando divenne famosa in tutto il Regno delle Due Sicilie. Le fornaci attive arrivarono ad essere più di dieci e la loro luce caratteristica illuminava le notti delle montagne della zona ed i racconti dei tanti viandanti, incuriositi da queste misteriose luminescenze. Staccandosi dalla tradizione compendiaria, gli artigiani ceramisti iniziarono ad usare colori vivaci come il giallo e il verde. Le decorazioni divennero molto raffinate e complesse e anche gli stessi manufatti raggiunsero livelli di fantasia e di perfezione maggiori. Caratteristiche erano le cosiddette brocche a segreto, con dei condotti interni e dei fori che, se opportunamente occlusi, consentivano agli avventori di bere senza versare il contenuto, o dei contenitori per l’olio con un canaletto posto sotto il bordo, per recuperare le gocce che inesorabilmente sarebbero state destinate a perdersi. 

Ancora per tutto il Seicento capeggiava nella produzione locale la famiglia dei Bilotta, mentre a cavallo tra il ‘700 e l’800 divenne molto noto il misterioso Maestro della donna addormentata, valente artista, autore di piatti, alcuni anche di notevoli dimensioni, dal decoro molto raffinato e da un caratteristico bordo a disegno geometrico.

Il ripetersi di disastri naturali, che a poco a poco sgretolarono la collina delle fornaci, contribuirono ad accelerare la crisi e la decadenza dell’artigianato ceramico, che ebbe una grave battuta di arresto alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. La produzione del XIX e del XX secolo è stata comunque connotata dal ritorno alla semplicità. 

Alla fine degli anni Sessanta l’attività è stata ripresa con risultati significativi in campo nazionale e internazionale. Gli artigiani arianesi hanno riproposto l’antica produzione nei colori nelle tipologie e nelle forme: si tratta degli “oggetti solari di Ariano”, come acquasantiere, caponate, mattonelle votive, fiasche antropomorfe e zoomorfe, fiasche a segreto (complesse nella struttura, fastosamente ornate di frutti, infiorescenze e figure rese ancor più eccentriche dai colori sgargianti), coppe a segreto (a forma di calice dal bordo traforato, divise da una sottile intelaiatura che permette la presenza di due liquidi contemporaneamente, riccamente decorate con tralci di foglioline stilizzate intervallati da linee spiraliformi), entrambe originali invenzioni e vero fiore all’occhiello della produzione arianese tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo. 

Con la nascita di importanti fabbriche di porcellana, la ceramica arianese è prodotta per un più largo utilizzo e per una diffusione maggiore anche verso il ceto medio e medio-basso, tanto da consentire alla mia città di essere inserita nel 2000 nell'Associazione Italiana “Città della Ceramica”, con sede a Faenza, e nel 2004 di avere il prestigioso riconoscimento d.o.c., da parte del Ministero delle Attività Produttive, in quanto zona di importante produzione di ceramica artistica. 




OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA "IRPINIA COLLINE DELL'UFITA DOP"

Non possono sfuggire al visitatore delle mie terre le ampie distese di ulivi secolari che ricoprono le colline arianesi, cuore dell'olivicoltura irpina e in particolare dall’olivicoltura nella valle del Fiume Ufita.

La presenza dell'olivo nell'avellinese risale ad epoca romana, come è ampiamente documentato da numerosi reperti. Furono proprio i Romani, appunto, a costruire i primi strumenti per la spremitura delle olive e a perfezionare sempre di più le tecniche di conservazione dell'olio. La massima diffusione dell'olivicoltura in Irpinia si ebbe però in era angioina, per poi svilupparsi in quella aragonese (XIV secolo) e consolidarsi definitivamente nell'800. 

Nicola Flammia, nella "Storia della Città di Ariano", scrive che nella mia città nel 1794 erano presenti "dodici molini da macinar olive, chiamati volgarmente trappeti, a quali sono addetti i cavalli per farli girare…", che, agli inizi dell'800, aumentano a 29, “…quali dentro e quali fuori dell'abitato".

Numerose sono anche le testimonianze storiche relative alla grande influenza che l'olivo ebbe sull'economia delle popolazioni rurali della zona che si specializzarono non solo nella produzione dell'olio, ma anche in quella delle anfore, atte a contenere il già ricercato prodotto.

Ancora oggi l'olio di oliva dell'Ufita costituisce ancora un prodotto carico di misticismo e soprattutto un componente fondamentale della famosa dieta mediterranea, della quale molti esperti attestano gli aspetti benefici per la salute. Proprio in quest’area viene coltivata una varietà di oliva detta Ravece, che ha consentito la produzione di un olio extravergine in perfetta armonia tra ambiente, varietà, capacità imprenditoriale e tradizione – che in Irpinia risultano essere antichissime – tale da avere il riconoscimento DOP denominato “Irpinia Colline dell'Ufita DOP”. 

La Ravece, conosciuta anche come Olivona, Curatone e Ravaiola, il cui colore varia dal verde al rosso vinoso, è una cultivar di origine sconosciuta, ma almeno dal 1500 diffusa quasi esclusivamente nel territorio ufita-arianese, componente privilegiata della dieta mediterranea che in quest'area si caratterizza sul trinomio vino pane e olio. 

La notevole presenza di note aromatiche e il suo gusto fruttato intenso fa prediligere l'uso di quest'olio su piatti di una certa consistenza, come minestre a base di legumi, gustose pastasciutte della tradizione irpina, zuppe, bruschette e grigliate di carne. 

L'olio extravergine di oliva "Irpinia Colline dell'Ufita DOP" presenta, infatti, caratteristiche organolettiche di grande pregio. È di colore verde, se giovane, fino a giallo paglierino, di diversa intensità. All'olfatto si rivela fruttato, con piacevoli note erbacee e netti sentori di pomodoro acerbo e a volte di carciofo, percepibili distintamente anche al gusto; all'assaggio è armonico, con intense, ma sempre piacevoli ed equilibrate sensazioni di amaro e piccante, in armonia con l'elevato contenuto in polifenoli. L'acidità non supera il valore di 0,50%, con punteggio al panel test non inferiore a 7. 



Il prodotto deve presentare le seguenti caratteristiche organolettiche:
Descrittore                                       MedianaDifetti                                                0Fruttato di oliva                                3-6Amaro                                               2-6Piccante                                            2-6Pomodoro                                          2-5 
Le caratteristiche chimico-fisiche, invece, sono le seguenti:
                                                                                                               acidità %:                                 inferiore o uguale a 0,5;                                                                                                               indice di perossidi meq O /kg: inferiore o uguale a 2                                                                                                               spettrometria UV K232:           inferiore o uguale a 2,2;                                                                                                               spettrometria UV K270:           inferiore o uguale a 0,2;                                                                                                               spettrometria Delta K:             inferiore o uguale a 0,01;                                                                                                               polifenoli totali:                       superiore o uguale a 100 p.p.m.

L'olio "Irpinia Colline dell'Ufita DOP" deve derivare:

Le tecniche di coltivazione degli oliveti sono quelle tradizionali delle Colline dell'Ufita, che assicurano all'olio che ne deriva l'elevato e noto pregio qualitativo. 

Le olive, come da tradizione, vengono raccolte entro e non oltre il 31 dicembre di ogni anno, percuotendo i rami della pianta con randelli di legno flessibili, cosicché se ne distaccano cadendo in apposite reti adagiate sul terreno. È ancora consuetudine raccogliere le olive anche a mano, montando sulla pianta con una scala di legno a pioli realizzata “artigianalmente” (il cosiddetto “triangolo”). Secondo il disciplinare, è vietata la raccolta delle olive cadute naturalmente sul terreno e quella su reti permanenti. 

Le olive raccolte vengono riposte in sacche a tracolla, trasportate al frantoio e sottoposte, dopo non oltre due giorni, a una “prima spremitura a freddo”, che si ottiene ad una temperatura inferiore ai 27 gradi centigradi. La resa al frantoio è molto bassa e in ogni caso non può eccedere il 20%. 

La Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) "Irpinia – Colline dell'Ufita" è stata riconosciuta, ai sensi del Reg. CE n. 510/06, con Regolamento n. 203 del 10 marzo 2010 (pubblicato sulla GUCE n. L 61 dell'11.03.2010). La Scheda riepilogativa è stata pubblicata sulla GUCE C160 del 14 luglio 2009.Il riconoscimento nazionale era avvenuto con DM 10 ottobre 2005, pubblicato sulla GURI n. 246 del 21 ottobre 2005, unitamente all'allegato Disciplinare di produzione.L'organismo di certificazione autorizzato è l'Is.Me.Cert. (Istituto Mediterraneo per la Certificazione dei prodotti e dei processi nel settore agroalimentare), Corso Meridionale, 6 80143 Napoli tel. 081.5636647 - fax: 081.5534019 (sito web: www.ismecert.it). 








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